Operaio non è solo colui che lavora nell'industria, né tantomeno un qualcosa di estraneo alla nostra cultura.
Si sente spesso dire (e non da oggi) che Rifondazione comunista, e più in generale la sinistra sarda, non dovrebbero avere al centro della loro azione politica tanto la classe operaia quanto altre categorie “data la specificità della Sardegna”. In primo luogo “la classe operaia sarda è esigua”. Posto che così come il capitalismo si sviluppa a livello internazionale anche lo sviluppo del proletariato industriale va considerato su questa scala, la pretesa esiguità della “classe operaia sarda” deriva innanzitutto da una errata interpretazione della stessa, accomunata esclusivamente ai lavoratori dipendenti dell’industria petrolchimica, mineraria etc...
E’ sbagliato considerare operaio solo chi lavora nell’industria. Chiunque, per uno stipendio appena sufficiente a vivere, venda la propria forza-lavoro a chi ha i mezzi di produzione e distribuzione di beni e servizi, poiché possiede solo la propria capacità di lavorare, deve essere considerato operaio. Altrimenti si escludono una vasta gamma di lavoratori salariati in diversi settori. In secondo luogo perchè la classe operaia “è qualcosa di indotto, di estraneo alla nostra realtà”. Se la classe operaia e il suo rapporto con la borghesia, compradora o no, sono un prodotto dell’attecchimento del capitalismo in Sardegna così come in altre parti del mondo conquistate da questo sistema politico, economico e sociale, qual’ è la pietra dello scandalo? Il pianeta è diviso tra poche zone dove il capitalismo si è sviluppato originariamente e altre dove è stato brutalmente imposto, ma questo non pregiudica la centralità della classe operaia nella lotta politica, anzi. Innanzitutto, i lavoratori salariati non sono mai stati così numerosi nella storia; in secondo luogo qualsiasi altra classe o gruppo, che non siano gli operai non potrebbe mai cambiare radicalmente le cose, ma ricreerebbe in continuazione i rapporti di produzione capitalistici, gli interessi ristretti di gruppi che non vedono altro orizzonte che la mercificazione generale e la compra-vendita della forza lavoro. Ma può venirci d’aiuto a questo punto una riflessione su un settore di lavoratori indotti. è vero o non e vero che impiantare i caseifici in Sardegna ha contribuito a distruggere la millenaria tradizione del pastore sardo, custode dell’intero processo di trasformazione del latte in formaggio e, più in generale, della campagna e della cultura ad essa connessa? Lo è, ma dobbiamo porci un altra domanda. Il ruolo dell’operaio caseario, quanto può essere decisivo nella risoluzione dell’intera vertenza delle campagne (che non solo il prezzo del latte anche se tale questione erge a simbolo dell’ingiustizia)? Secondo noi decisivo in quanto solo l’unione dei pastori con gli operai caseari può porre fine al dominio dei padroni del formaggio. Perciò, piuttosto che rifiutare ciò che è stato “indotto” (cosa che comporterebbe più che altro un dibattito storico), il Prc e la sinistra sarda devono partire dai dati di fatto, dal numero effettivo di salariati, per trasformare la società. Tutto questo non deve portarci a fare il ragionamento inverso, ovvero non considerare tutta una serie di lavoratori autonomi, il mondo delle campagne, il popolo delle partite Iva etc... Ma è solo partendo da un programma operaio che possiamo stringere la necessaria alleanza con questi settori. Due esempi su tutti. Il primo ritornando sui caseifici. La loro socializzazione garantirebbe oltre a un prezzo più equo del latte, anche delle produzioni mirate necessarie agli effettivi bisogni della collettività superando la monocoltura del pecorino romano. La nazionalizzazione del credito annullerebbe i debiti accumulati dai titolari delle piccole aziende vessate da Equitalia. Per non parlare delle industrie pesanti per le quali è necessaria una riconversione che può essere garantita solo con il capitale che un credito pubblico e finalizzato può dare, e solo con il controllo dei lavoratori e delle comunità locali per evitare che una presunta riconversione possa danneggiare altri settori, possibilità non tanto remota con la “chimica verde” nei confronti dell’agricoltura.
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