L'ennesimo accordo a ribasso in una lotta di classe condotta solo dai padroni. A quando un sindacato di lotta?
In un contesto di crisi profonda, quale quello che stiamo vivendo, si fa sempre più attuale la guerra tra capitale e lavoro; una guerra che vede attualmente in Italia il primo in vantaggio sul secondo per il solo fatto che a sinistra manca una forza politica reale che possa contrapporsi in maniera decisa e alternativa alle politiche governative ed europee di austerity per i lavoratori e di aiuti sostanziosi a banche e grosse imprese.
Nel nostro paese la battaglia contro i diritti sul e per il lavoro è stata ufficialmente aperta dal nuovo contratto di lavoro imposto da Marchionne, a.d. Fiat, negli stabilimenti di Pomigliano D’Arco e Mirafiori. Come ci è stato spiegato nel libro “Pomigliano non si piega”, l’azienda ha prima diviso in varie piccole società i lavoratori dell’indotto, in modo da poterle chiudere ad una ad una senza problemi visto l’esiguo numero dei lavoratori man mano interessati; poi, con la chiusura degli stabilimenti, ha spedito i restanti operai in cassa integrazione, mettendo praticamente “alla fame” loro e il territorio in cui vivono, in modo da renderli ricattabili sulle nuove relazioni lavorative create con la scusa della crisi in corso. Ebbene questa tattica sembra funzionare, tant’è che il modello “Fabbrica Italia” viene proposto anche in aziende fuori dal cerchio Fiat. Una versione soft di tale modello contrattuale è stata proposta dall’Eni ai suoi dipendenti, fatta eccezione per il settore che riguarda le estrazioni petrolifere. Tutto ciò viene fatto (come disse Marchionne) per essere competitivi in un momento di crisi dei mercati e per porre rimedio all’assenteismo selvaggio in alcuni stabilimenti. Il cosiddetto “accordo per la flessibilità” parla di investimenti per 53 mld € sul gruppo Eni di cui 15 mld € in Italia nel periodo 2011-2014. C’è da dire che tale accordo, grazie alla mediazione dei sindacati, dopo le prime bozze, ora fa riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro. Il verbale di accordo propone nuovi modelli organizzativi sul lavoro volti alla flessibilità, che consiste nell’introdurre la reperibilità (ancora da discutere) per quanto riguarda i lavoratori giornalieri; un incremento della prestazione lavorativa del 4%, a partire dal 1 gennaio 2012, per i lavoratori turnisti. Secondo Eni, i livelli di “assenteismo” per malattia in alcuni stabilimenti, a differenza di quanto dichiara il sindacato, sono troppo alti rispetto alla media fisiologica del 3,7%. Per evitare che ciò possa ripetersi, in base alla percentuale di assenza per malattia di ogni individuo e di ogni unità produttiva, verrà riproporzionato l’importo del premio di partecipazione, penalizzando chi supera la soglia del 3,7%, e premiando, attraverso la redistribuzione della quota non assegnata agli “assenteisti”, coloro che stanno sotto la fatidica soglia. Un altro punto dell’accordo riguarda la libertà da parte dell’azienda di fermare gli impianti produttivi in relazione alla domanda di mercato del prodotto in questione, facendo ricorso alla CIG o a corsi di diversificazione professionale verso altre realtà Eni. Cambieranno anche le relazioni industriali, attraverso l’istituzione di una commissione di “carattere paritetico e non negoziale” costituita da tre rappresentanti dell’azienda e tre rappresentanti sindacali, volta a proporre nuovi modelli di relazioni industriali a livello locale. Tale accordo, già benedetto dai sindacati, è stato presentato ieri pomeriggio ai lavoratori del petrolchimico di Porto Torres. Dopo la presentazione il verbale è stato messo a votazione, in una sala che non vedeva presenti tutti i lavoratori (ne erano presenti solo 90), e nonostante la richiesta di questi ultimi di rinviare tale decisione in quanto nella convocazione dell’assemblea non si faceva riferimento alla votazione, pertanto nessuno aveva potuto consultare con i propri occhi quanto dice l’accordo. Sta di fatto che a causa dell’insistenza dei sindacalisti si è arrivati a conclusione con 82 voti a favore e 8 astenuti; ecco servito il colpo di mano di azienda e sindacato! È evidente che tale accordo ricalca in modo soft lo stile Fiat, un modo che sa solo di tentativo di sondare il terreno per spingersi oltre in futuro, tastando la consistenza di un sindacato che punta solamente a mostrarsi affidabile all’azienda e che non accettando le critiche dei lavoratori si impegna a far passare i loro metodi di accordo (senza informazione preventiva verso i loro iscritti) come buoni e giusti a prescindere. In un momento così delicato come quello che sta vivendo lo stabilimento turritano, a causa della riconversione alla chimica verde che partirà a fine giugno con la chiusura di tutti gli impianti fatta eccezione per l’impianto gomme e la centrale termoelettrica, gli operai hanno bisogno di un sindacato che ascolti le loro ragioni e li tenga informati su ogni passaggio, segreto e non, della trattativa che li riguarda; c’è bisogno di un sindacato di lotta, che non arretri sui diritti conquistati prestando fede alle favole confindustriali e governative secondo il quale si può uscire dalla crisi solo con la flessibilità del lavoro.
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