PER IL PARTITO DI CLASSE A SASSARI

Pubblichiamo il testo del documento da noi proposto e respinto al congresso provinciale di Rifondazione comunista. Finita la fase congressuale che ci ha visti impegnati a sostegno della mozione 2 "Per il partito di classe" nella nostra provincia (e non solo), le pubblicazioni de l'ape operaia possono riprendere! Buona lettura compagne/i!

L’VIII congresso del partito della Rifondazione comunista ci offre l’opportunità di ricostruire la nostra organizzazione nella provincia di Sassari su basi nuove. Dopo anni di gestioni condotte all’insegna del dell’istituzionalismo più sfrenato, con ripercussioni negative sul radicamento e nei confronti della nostra stessa base, è arrivata l’ora di voltare pagina per costruire quel partito che dia le giuste risposte al nostro popolo in questo territorio stremato dalla crisi.
Costruire anche qui quel partito di classe che manca, significa non solo essere nuovamente presenti nei territori - alle prese con sempre maggiori tagli ai servizi - ma soprattutto nel conflitto di classe. Che oggi il nostro partito manchi in quasi tutti i comuni della provincia (ad iniziare dai centri più grandi come Alghero, Porto Torres e Sorso) è un dato di fatto. Al tempo stesso non si è mai portato avanti un radicamento territoriale nei diversi quartieri del capoluogo. Tuttavia la vera mancanza di radicamento è quella nei posti di lavoro, nonostante negli ultimi tre anni non siano mancate le lotte dei salariati: dai precari della scuola ai lavoratori del petrolchimico. Se il primo esempio dimostra come pur avendo nelle nostre fila dei lavoratori colpiti dalla “riforma Gelmini-Tremonti” il Prc non sia stato in grado di intervenire con le sue strutture e le sue proposte, il secondo indica il perdurante distacco dalle realtà industriali, recentemente dimostrato con la mancanza di una delegazione del partito sassarese all’ultimo sciopero generale dell’ 11 novembre. Nel principale polo industriale del nord Sardegna, siamo infatti venuti meno a uno dei nostri compiti fondamentali, sia per quanto riguarda la lotta dei lavoratori di Polimeri Europa, sia per quanto riguarda quella della Vynils (per non parlare dei lavoratori delle cooperative dell’indotto). Non siamo riusciti a fornire a quei lavoratori una piattaforma coerente in difesa dei posti di lavoro e dell’ambiente, lasciandoli al conforto (quando c’è stato) delle loro organizzazioni sindacali o lasciando che la loro lotta si sviluppasse sul terreno mediatico (tutt’ora senza risultati). La realtà del tessuto economico della provincia, composto da 28 mila imprese, di cui la metà nei servizi, 7000 imprese agricole, 4000 di costruzioni e 2800 manifatturiere, è una incredibile frammentazione (per un territorio cosi piccolo) che rende già di per sé difficoltoso il radicamento nei posti di lavoro per il nostro partito. Tuttavia questa difficoltà oggettiva non può essere l’alibi per rinunciare al radicamento nei posti di lavoro e nel lavoro di costruzione di una nostra forte presenza nella CGIL nella provincia, che ostacoli la direzione camussiana che cercherà in tutte le maniere nel prossimo futuro di arginare e sgonfiare la radicalità dell’ opposizione che si esprimerà nel territorio. Questi sono i principali canali per fare di Rifondazione il partito di classe che oggi manca. Vediamo quindi che si può e si deve invertire rotta attraverso un serio e minuzioso radicamento, che data l’esiguità delle nostre forze deve partire da una realistica valutazione su dove concentrare, nei prossimi mesi, le energie di tutto il partito per fare una iniziale breccia nella sfiducia e indifferenza da parte dei lavoratori nei nostri riguardi. Possiamo, ad esempio valutare l’ipotesi d lanciare campagne provinciali per casse di resistenza per i lavoratori delle aziende in crisi, collegando questa iniziativa ad un dibattito sull’insufficienza della “buona volontà” delle amministrazioni locali nel contrastare la crescente disoccupazione (e anzi del loro ruolo deleterio), e sulla necessità del coordinamento dal basso delle varie realtà in difficoltà. Non sarà facile convincere che questa svolta non è una mossa tattica per racimolare voti, ma che è anzi la nuova natura del partito, ma questo non deve scoraggiare. Le cellule e i circoli del Prc nei luoghi di lavoro devono essere quindi il nostro obiettivo, insieme al radicamento nei territori. E per fare questo occorre un partito che faccia uno studio serio, approfondito e sistematico delle realtà lavorative, della struttura di classe, del contesto economico-politico e delle esperienze avanzate del movimento internazionale che vanno studiate, discusse, divulgate. Solo un partito che investe il suo patrimonio nella lotta può inoltre ambire a intercettare la radicalizzazione giovanile (non basta l’esistenza dei Giovani comunisti all’interno di un partito istituzionalista) e a costruire un rapporto fecondo con i movimenti: qui, anziché proporre “immersioni” di bertinottiana memoria, il partito dovrebbe formare complessivamente i propri militanti in modo tale che la militanza “parziale” di ciascuno di noi possa acquisire efficacia e forza cento volte maggiore proprio se inserita in un piano generale di intervento, di elaborazione, di attività. In questo modo sarà finalmente possibile evitare quelle forme di rappresentanza burocratica del movimento che fino ad oggi l’hanno fatta da padrone. Si veda il progetto “Sinistra unita”, cartello elettorale nato in occasione delle amministrative del 2010. L’esperimento, portato avanti da pochi “eletti” e ratificato da un Cpf (l’ultimo convocato negli ultimi anni e dietro raccolta firme) mentre tutto o quasi era già deciso, presenta oggi la sua vera natura: uno strumento nelle mani di altre forze politiche (Sel e socialisti in essa confluiti) lontano dalle esigenze popolari (si vedano le posizioni dell’assessore Musmeci in tema di pubblica istruzione). La sciagurata benedizione del progetto anche per le comunali di Ittiri (comune sotto i 15 mila abitanti con una legge elettorale che prevede una sola lista collegata al candidato Sindaco) ha di fatto trasformato Sinistra Unita in Sel, portando anche il “nostro” consigliere comunale nel direttivo cittadino di quel partito. Occorre perciò abbandonare, e da subito, “Sinistra unita”. Al tempo stesso un partito di lotta deve rivedere la sua collocazione nelle giunte con il Pd a favore di una battaglia di opposizione, da condurre nelle assemblee elettive e fuori da esse, contro la trasformazione sempre più radicale degli Enti locali, da istituzioni erogatrici di servizi in gabellieri. Non si può condurre tale lotta con degli assessori che innalzano Irpef e tariffe di servizi mensa e scuolabus lasciando alla sola Camera del lavoro di Sassari il megafono della protesta. I tagli ai servizi e gli aumenti di tariffe (trasporti,mense, ecc.) a Ozieri, Sassari, ecc. sono la migliore smentita al preteso realismo di chi vuole entrare nel centrosinistra a tutti i costi. Noi non possiamo pensare di partecipare alle eventuali giunte (sempre che ci vogliano) per “ridurre i danni”, perché sempre di danni si tratterebbero e non si capisce perché dovremmo accollarci noi, che siamo già assai screditati, le politiche impopolari che la crisi dello stato italiano impone ovunque. I compromessi sono giusti e utili quando si può ottenere qualcosa che migliori effettivamente le condizioni degli strati popolari, ora otteremmo solo figuracce e riduzione della qualità della vita per la massa dei lavoratori. Lavoriamo quindi per un partito di lotta per il nostro territorio e per la nostra classe di riferimento. Un partito che da oggi in poi formi i suoi militanti, ne conquisti i migliori che ancora sono disillusi o attratti da altre opzioni politiche e che sfidi, sul terreno programmatico, quelli dei movimenti indipendentisti proponendo per la Sardegna (particolare laboratorio delle contraddizioni del capitalismo) un nuovo modello di sviluppo basato su una sovranità di classe intesa come controllo operaio sulla produzione, sulla distribuzione, sul credito. Nella lotta e dal basso sapremo forgiare i nostri dirigenti e coloro che andranno a rappresentare al meglio il conflitto sociale nelle assemblee elettive, superando la triste pratica della ricerca del “pezzo grosso” di turno, che sia esso un trombato di altri partiti o un eterno “leader” schifato dai partiti ma non dalla prospettiva dell’elezione tramite essi. I prossimi anni, che saranno di scivolamento verso una crisi sempre peggiore, devono vederci come il baluardo attorno a cui si può costruire l’opposizione popolare della classe lavoratrice e del (sempre più ristretto) ceto medio schiacciato dal fisco e dalle banche. I numeri ora sono contro di noi, e ci preservano dall’ottimismo, ma le coraggiose lotte messe in campo, in primis dai pastori, devono darci coraggio e fiducia nella nostra classe, e l’ispirazione necessaria per mostrare noi stessi coraggio e fiducia nella lotta.

 Li Punti (Sassari) 20 novembre 2011

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