TRA “COUNTRY PARTY” E PARTITI DEI SARDI

Mentre il Pd si candida a governare l’austerity, anche dall’opposizione, nell’isola la gara sul partito più sardo.

Il Partito democratico di Bersani getta la spugna. Il baricentro dell’opposizione liberale da il via alla responsabilità nazionale decidendo, insieme a Udc e Idv, di opporsi responsabilmente (leggasi attrezzarsi a fare controproposte ligie ai padroni) a questo governo ormai putrescente. Enrico Letta, al qual va riconosciuta la sua chiarezza e coerenza liberista, dalle colonne di Repubblica dice nero su bianco che «è arrivato il momento di cominciare a parlare di privatizzazioni. Penso a Poste, Ferrovie, Eni, Enel, Finmeccanica e alle 20mila aziende partecipate degli enti locali». Alla faccia di quei 27 milioni di italiani che hanno detto no alla privatizzazione dell’acqua.
È questa, secondo Letta, l’anima che manca a questa manovra. I dirigenti della sinistra (Vendola, Ferrero, Diliberto) sono tutti avvisati: qualsiasi compromissione con questi signori e i loro programmi rappresenterà un nuovo 2008 in forma anche maggiore. Ma al “country party” (il partito dell’Italia) proposto da Letta qui si risponde con i partiti sardi, pronti a distinguersi da quelli italiani (federandosi) ma altrettanto pronti a condividere idealmente la mission responsabile che a livello regionale significa amministrare gli enti locali con le briciole. Di soriana memoria (il patron di Tiscali nel frattempo, pur continuando ad essere editore de l’Unità, ha dato vita a “Sardegna 24”, diretto dal vice della De Gregorio, Giovanni Maria Bellu) il Partito democratico sardo nascerà con tutta probabilità a gennaio: un successo dell’ex governatore, imposto al segretario regionale Silvio Lai come contropartita per la risoluzione dei conflitti interni e per la composizione di una segreteria unitaria (fuori solo la componente del margheritino Paolo Fadda). Tutto questo (rilevabile anche dal pezzo odierno di Mario Bruno, capogruppo Pd in regione, su “Sardegna quotiano”) ci dimostra quanto sia estetica e organizzativistica, ma non politica, la divisione tra Pd e Pds. Tralasciando quanto di simile si muove a destra, la questione va affrontata per discutere delle prospettive della sinistra sarda. Stando alla Nuova Sardegna di oggi anche Sinistra ecologia e libertà guarda agli autonomisti, compreso il Psd’az (!!!), per fare non si sa poi cosa, dopo aver proposto qualche settimana fa la costruzione del partito unico (sardo?) dei democratici e dei progressisti. Buona parte del gruppo dirigente di Sel proviene da Rifondazione, ed è li che di volta si è opposto o ha sostenuto le diverse svolte sarde. Dapprima il “rosso” Luigi Cogodi (al quinto congresso, 2002) aveva respinto l’opzione sarda proposta dall’allora segretario cossuttiano-amendoliano Sandro Valentini; in seguito (al congresso di Chianciano, il VI, 2008) tale opzione venne fatta propria dalla mozione vendoliana (comprendente sia Cogodi che Valentini) fino all’approvazione dell’articolo 23 dello statuto del partito sull’autonomia della gestione dei quattrini e delle candidature. Tutto questo deve essere il passato e nel presente lo si lasci al Pd, al Pdl, ai Riformatori sardi etc... Nel caso si ragionasse per amplificare queste misure, puntando a separare e federare anche i partiti della sinistra sarda non si risolverebbero i problemi dei lavoratori, siano essi sardi o dello stato italiano. Queste “libertà gallicane” servono solo in chiave burocratica per la classe politica locale tesa a consolidare il suo potere senza interferenze. Sinistra sarda sarà solo quella di classe che opererà nel suo territorio, nella sua Sardegna, rompendo con il bipolarismo dei partiti regionali (che è lo stesso di quelli “romani”) per portare avanti le istanze di chi lavora e di chi sta pagando questa crisi per tenere in vita un sistema che ormai non ha più senso di esistere. Per portare avanti un programma di natura classista (perciò contro i padroni locali) e anticapitalista (perciò insieme ai lavoratori e agli sfruttati del resto d’Italia). Avremo di che gioire (a metà ovviamente) se di fronte a una sinistra italiana subordinata al Pd emergesse una sinistra sarda che, qui ed ora, decidesse il contrario. Questa sarebbe la divisione di natura politica; questo sarebbe il laboratorio sardo.

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