Una fotografia del debito pubblico nelle due più grandi potenze mondiali e nell’italietta dei prossimi sacrifici.
Negli Usa il debito pubblico e privato sommati sono circa il 360% del Pil, cioè circa il 500% del Pil della Cina e il 2800% di quello italiano, per dare un‘ idea di quali grandezze stiamo parlando. Gli Usa che pompavano e drogavano (con i debiti) la crescita mondiale sono finiti per sempre, e hanno apparecchiato le condizioni per la più severa depressione economica della storia, perlomeno stanti le prospettive attuali.
Gli Usa non possono prendere soldi in prestito da nessuno per alimentare la crescita economica, non come ha fatto finora. Né la Cina potrà trascinare il mondo dietro di sé, anche se indicata da certi economisti come modello da seguire per gli europei, o addirittura come nuova potenza egemone. Ad aprile 2011 la Cina aveva 1152 miliardi di dollari in titoli di Stato Usa (segue il Giappone con 906 miliardi, poi Gran Bretagna con 333 miliardi) e come si sta capendo in questi giorni, gli Usa non possono più pagare gli interessi su questi debiti spaventosi ancora per molto, e inoltre potrebbe dichiarare default nei prossimi anni e “bruciare” tutti i capitali cinesi.
La Cina stessa è alle prese con una gravissima crisi del debito delle amministrazioni locali (1,65 trilioni di dollari, di cui almeno l’8% inesigibile). Il debito pubblico cinese è intorno al 20% del Pil, ma secondo Minxin Pei, scienziato politico cino-americano, facendo la somma del debito delle amministrazioni locali con le altre passività il debito totale sale al 70- 80 % del PIL. Inoltre, come ha detto al New York Times Victor Shih, economista della Harvard University: "La maggior parte degli enti che prende in prestito non può nemmeno effettuare i pagamenti di interessi sui prestiti" (afferma che il totale potrebbe essere addirittura superiore a 3 trilioni di dollari) e quindi il governo centrale dovrebbe sborsare miliardi per pagare questi debiti.
Le due più grandi potenze del mondo insomma possono fare tutto tranne “stimolare la crescita globale”. La Cina conta una classe operaia di 400 milioni di persone, una forza che non si è mai vista nella storia, e a cui sicuramente lo stato non può garantire anni di prosperità o benessere. Non solo, la sovrapproduzione mondiale e l’austerità che verrà imposta in Europa nei prossimi decenni freneranno ulteriormente l’economia cinese. C’è quindi da star sicuri che ci sarà tutto fuorché la pacata serenità orientale nella classe operaia della Repubblica popolare cinese.
In Italia ugualmente in questi giorni si sta diffondendo il panico per quel mostro che è il debito pubblico nostrano (1800 miliardi). Il debito italiano è per l’86% nelle mani delle banche, delle assicurazioni e di altre istituzioni finanziarie estere. La speculazione sui titoli italiani, che sono assai più rischiosi per chi li compra (di non essere ripagati al momento dovuto), rispetto ai titoli di stato tedeschi (bund), dipende da molteplici ragioni: una delle principali è che i titoli che devono garantire interessi assai proficui per essere comprati, come quelli italiani, vengono sballonzolati da banche e istituti finanziari, poiché in questa compravendita, seppur rischiosa, si guadagna tanto in pochissimo tempo.
L’Unione Europea creata per garantire, in ultima analisi, la stagnazione delle economie europee e favorire l’esportazione tedesca (secondo paese esportatore al mondo) dovrà sganciare miliardi per “rassicurare” le banche sull’affidabilità dell’Italia nel pagamento degli interessi e del debito e impedire che la moneta unica fallisca.
Nessuno nasconde più che nei prossimi anni, qualsiasi governo ci sia, si dovranno imporre sacrifici immensi ai lavoratori di questo paese. Si scioglierà come neve al sole la proposta politica, che per rinnovare l’Italia basterà "l’impersonale onestà" di politici devoti all’interesse pubblico, perché non ci sarà nessun interesse pubblico, ma sempre di più si metteranno uno contro l’altro due tipi di interessi inconciliabili: quelli della classe lavoratrice, e quelli dei capitalisti, delle loro istituzioni statali e dei loro vari partiti. Non può essere che questa la vera emergenza democratica da risolvere.
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