A SINISTRA: CHE FARE DOPO IL 15 OTTOBRE?

Siamo sicuri che sia sufficiente condannare in astratto le violenze senza una complessiva strategia anticapitalista? 

Chi ha una visione marxista dello Stato non ha bisogno di cercare frammenti di foto o video che confutino il “metodo Kossiga” nelle manifestazioni anticapitaliste. Lo stato non siamo noi. Lo stato non è un’istituzione neutra a garanzia dell’interesse collettivo, ma una necessità di chi domina (altro che “meno stato!”) in una società divisa in classi. E questa necessità si manifesta non solo nelle questioni di ordine pubblico (si pensi a Val Susa, Pomigliano, Fincantieri, Alcoa, Pastori sardi etc...), ma anche con gli appelli delle più alte cariche miranti alla coesione sociale, alla condivisione del sacrificio.
Che appelli vergognosi di fronte al più grande scippo perpetrato dal Capitale ai danni del nostro futuro! Non solo in questo modo si bandisce il conflitto sociale (il vero motore della storia) ma anche le ragioni delle classi oppresse. Altro che “comprensione del malessere”, come vorrebbero far credere i vari Soros, Bernanke, Buffet, Draghi. Siamo di fronte ad un cambio d’epoca. Le classi dominanti hanno seria paura di vedere un movimento cosciente e organizzato (cosa che ad oggi non lo è) che le spodesti e che risponda nel verso giusto alla domanda “socialismo o barbarie?”. E nella paura rientra l’auspicio di una piega aliena alle tradizioni di lotta del movimento operaio. Perché se pensassimo che i disordini e le devastazioni sono il frutto esclusivo della cospirazione poliziesca commetteremmo un grosso errore. Purtroppo esistono delle frange che fanno dell’“azione diretta” la loro teoria e dell’infantilismo la loro pratica. Ma fortunatamente sono poche e saranno ancora più marginali e ridicole quando il movimento dei lavoratori svilupperà a dovere i suoi metodi e la sua piattaforma su larga scala. E a sinistra che si dice? Capita di vedere l’esaltazione per gli scontri in Grecia trasformarsi in condanna totale quando questo accade da noi. Pensiamo che il giusto stia nel mezzo e che debba nascere dalla comprensione delle cause. Il capitalismo con le sue ingiustizie crea malessere e non sempre le risposte sono quelle che vorremmo. Da qui deve partire il nostro rifiuto, che deve essere dialettico e non basato su una “non violenza” a senso unico. Al netto di fattori esterni (provocatori, infiltrati...) che non vogliamo celare, diciamo senza timore di essere smentiti che queste azioni non risolvono alcun problema per gli oppressi: perché spesso le vittime sono persone come noi che hanno lasciato la loro auto in strada mentre i veri violentatori ridono a quattro ganasce (tipo il Draghi “dispiaciuto”); perché si rafforza l’apparato repressivo e propagandistico a favore dello status quo. Se si condanna il solo gesto e lo si bolla come criminale da una parte si sottovaluta il problema allo stesso modo in cui si mette la polvere sotto il tappeto, e dall’altra si rinuncia all’egemonia sul movimento finalizzata a fornirgli una prospettiva programmatica ed organizzativa. Tutto questo “per non mettere il cappello!”. A chi vogliamo prendere in giro? Chi dirige i nostri partiti della sinistra facendo dell’elettoralismo più sfrenato la sua bussola e volendo cooptare la contestazione deve abbandonare l’ipocrisia. Così facendo non si lavora per l’autonomia del movimento ma per la propria, quella di muoversi indisturbati nel percorso degli accordi con il Pd. Perciò prima di dire “il movimento isoli i violenti” la sinistra (e Rifondazione in primis, data la sua capacità organizzativa non ancora del tutto scalfita) deve isolarsi dal nauseante coro dei custodi del capitalismo e della falsa democrazia e: puntare sul conflitto di classe e organizzarsi intorno ad esso socializzando le migliori esperienze di resistenza; elaborare una strategia sindacale di lungo periodo che parta dalla lotta alla precarietà fino alla riconquista del contratto nazionale; lavorare per la prospettiva di nuove organizzazioni consiliari per la ricomposizione della classe; indebolire il nemico cercando di portare alla nostra causa la base delle forze di polizia. Insomma, costruire quel partito di classe necessario alla grande stagione che sta per aprirsi davanti a noi.

Nessun commento:

Posta un commento