UN INTERVENTO PER FERMARE LA RIVOLUZIONE

Lottiamo contro l’aggressione imperialista alla Libia e contro Gheddafi, rivoluzione araba fino alla vittoria!

Giovedì 17 marzo è stata approvata dall’Onu la risoluzione 1973 che prevede la cosiddetta no-fly zone (leggasi l’uso della forza) con dieci voti a favore e cinque astenuti (Russia, Cina, Brasile, India e Germania). Venerdì 18 Gheddafi annuncia un cessate il fuoco unilaterale. Sabato 19 marzo alle 17:45 sono iniziati i raid aerei made in France. In poche ore la situazione è quindi degenerata nell’ennesima missione militare imperialista.

Dobbiamo opporci senza mezzi termini a questo intervento che di umanitario ha ben poco, e inoltre dobbiamo smascherare l’ipocrisia di chi non dice una parola sui massacri in Palestina, e sulle brutali repressioni nello Yemen, nel Barhein, in Arabia Saudita, come se queste vite di questi rivoluzionari valessero meno di quelle di quelli libici. Si, rivoluzionari. Ed è qui che sta la parola chiave per capire quanto accade in terra di Libia e nell’intero mondo arabo. Andiamo con ordine.
Che il bottino energetico faccia gola alle potenze imperialiste non è un mistero, ma è palesemente sbagliato vedere tutto questo come se ci volesse questa missione militare per accaparrarselo. E questo perché l’imperialismo, come già scritto nei nostri pezzi precedenti, già da tempo andava a nozze con il colonnello libico. Il famigerato Fondo monetario internazionale, pochi giorni prima della rivolta popolare, elogiava spudoratamente il regime pro capitalista di Bonaparte Gheddafi: «Un ambizioso programma per privatizzare banche e sviluppare il settore finanziario è in sviluppo. Le banche sono state parzialmente privatizzate, liberati i tassi di interesse e incoraggiata la concorrenza. Tentativi di successo per ristrutturare e modernizzare la Banca Centrale Libica sono in corso con l'assistenza del Fondo». L’obiettivo da raggiungere è quindi, oltre il soldo, quello di arginare le rivoluzioni in corso.
Il teatrino della politica italiana ci mostra come al solito dei pessimi protagonisti: in parlamento e nei paraggi più prossimi non c’è una sola forza contraria all’intervento. Impaziente Bersani: «Alla buon’ora!». Paraculo come al solito Vendola: «Dobbiamo impedire che Gheddafi completi la sua macelleria civile, ma anche vigilare con cautela che l'opzione militare non si trasformi in qualcosa di imprevedibile». Spietato, ma sincero Di Pietro: «l'approvvigionamento delle materie prime dalla Libia sarà a disposizione di coloro che hanno aiutato la transizione, non di coloro che si sono messi contro. Fare parte della coalizione non crea problemi, semmai il contrario».
In queste ultime parole possiamo trovare il cerchiobottismo del governo e del capitalismo italiano. Gheddafi si è sentito tradito dal suo caro amico: nelle prime ore della repressione della rivolta non voleva «disturbarlo», ma in seguito è stato costretto a sospendere (seppur senza mai annullarlo) il Trattato con la Libia, a congelare (seppure non subito) parte dei beni di Gheddafi, a partecipare alla missione (seppur limitandosi - e comunque almeno fino ad ora - a mettere a disposizione le sue basi, compresa quella di Decimomannu). Questa disgraziata Italia, con l’opposizione parlamentare compresa, nella sua ottica perversa, non può uscire da questi calcoli, che poi sono quelli di Finmeccanica, di Unicredit, di Eni, di Impregilo etc…
Se è vero che spesso sono i drammatici eventi a ricordarci chi siamo e cosa dobbiamo fare, la sinistra deve subito mobilitare il suo popolo in solidarietà a quello libico (e quindi superando quelle fastidiose “analisi del sangue” tese a identificare i ribelli come delle pedine degli Usa) riprendendo la combattività delle manifestazioni contro le guerre imperialiste in Afghanistan e Iraq, e sputtanando senza mezzi termini quei dirigenti che fino a pochi giorni fa scendeva in piazza a difesa della Costituzione. Con questi signori che parlano di “risorgimento arabo” e poi avallano missioni militari per combatterlo, bisogna rompere il cordone ombelicale una volta per tutte. Anche a Sassari e in Sardegna è arrivato il tempo di unificare la sinistra anticapitalista su queste basi, iniziando a dar vita a manifestazioni contro questa sporca guerra.

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