L'esperienza parigina e il feticcio dello stato, una lezione per tutti i rivoluzionari. Buon anniversario Comune!
Il marxismo (o meglio, il socialismo scientifico) non è altro che il bilancio di esperienze e di lezioni di lotta concrete, un'analisi spregiudicata dei contenuti di esse e dei suoi eventuali limiti, dal punto di vista del socialismo ovviamente. La lotta brevissima della Comune di Parigi (18 marzo 1871 - 28 maggio 1871) ha inciso una di queste lezioni nella storia.
In sintesi accadde questo. In seguito alla sconfitta francese contro la Prussia, Parigi fu dichiarata la Comune il 18 marzo, lavorando da subito a come governo rivoluzionario, in contrapposizione a quello ufficiale trasferitosi a Versailles: vennero aboliti polizia ed esercito permanente, sostituiti dal’armamento generale del popolo; congelati gli affitti; stabilita l’eleggibilità e la revocabilità di tutte le cariche pubbliche, per le quali non si poteva guadagnare più di un tot (abolendo cosi il carrierismo); le officine e le fabbriche furono messe in mano agli operai; furono garantiti i poveri e gli ammalati; l’istruzione divenne universale e furono distrutti i simboli sciovinisti; si garantirono i piccoli commercianti dai debiti etc…
La Comune fece però l’errore di non sconfiggere i nemici quando poté, contrattando addirittura con la banca di Francia che li finanziava, invece che di prenderne possesso. Fu così schiacciata in un bagno di sangue dalle forze “democratiche” sostenute dal governo prussiano di Bismark.
Questi brevi cenni non rendono giustizia della ricchezza dell’esperienza della Comune di Parigi, consigliamo la lettura di “La guerra civile in Francia” di Karl Marx. Proprio Marx, con Engels, trasse dall’esperienza comunarda importanti lezioni che furono poi sistematizzate da Lenin, e che costituirono un pilastro fondamentale del pensiero rivoluzionario.
Per i comunisti la transizione al socialismo si basa indiscutibilmente sull'esperienza consiliare, sui consigli dei lavoratori tipo la Comune o i "soviet" russi, i "rate" tedeschi, cioè istituzioni realmente democratiche, autogestite direttamente dai lavoratori e che avevano il potere effettivo. Come fa notare lo storico dei soviet Oskar Anweiler, solo nel 1945-46 questa idea venne definitivamente abbandonata e la burocrazia sovietica si inventò dal nulla l’idea delle "democrazie popolari", cioè Stati a immagine e somiglianza della propria dittatura burocratica, piuttosto che sul modello della democrazia consiliare che avevano instaurato i bolscevichi e che in Italia Gramsci voleva attuare tramite il movimento dei consigli di fabbrica.
Quanto questo sia in contrasto col comunismo bastano queste parole di Lenin, il più grande rivoluzionario finora esistito: «Parlare di democrazia pura, di democrazia in generale, di uguaglianza, libertà, universalità, mentre gli operai e tutti i lavoratori vengono affamati, spogliati, condotti alla rovina e all'esaurimento non solo dalla schiavitù salariata capitalistica […] mentre i capitalisti e gli speculatori continuano a detenere la "proprietà" estorta e l'apparato "già pronto" del potere statale, significa prendersi gioco dei lavoratori e degli sfruttati. Significa rompere bruscamente con le verità fondamentali del marxismo, il quale ha detto agli operai è […] non dovete nemmeno per un istante dimenticare il carattere borghese di questa "democrazia", la sua natura storicamente condizionata e limitata, non dovere condividere la "fede superstiziosa" nello "Stato", non dovere scordare che lo Stato, persino nella repubblica più democratica, e non soltanto in regime monarchico, è soltanto una macchina di oppressione di una classe su di un'altra classe». Ancora nelle parole di Lenin: «Il liberalismo interiormente putrefatto, tenta di rivivere nella veste dell'opportunismo socialista. Esso interpreta il periodo della preparazione delle forze per le grandi battaglie come una rinuncia a queste battaglie. […] L'opportunismo trova moltissimi fautori tra i vari deputati socialisti al parlamento, i vari funzionari del movimento operaio e gli intellettuali "simpatizzanti”».
La democrazia per noi non è votare ogni cinque anni chi debba imbrogliare. Viva la Comune!
leggi anche: La lezione della Comune di Parigi nel suo 140° anniversario
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