LIBIA: ALCUNI APPUNTI DOPO I PRIMI ATTACCHI

Le frizioni nella coalizione, il ruolo dei governi arabi procapitalisti, le contrarietà di facciata di Cina e Russia.

Da qualche giorno Tripoli e le altre principali città della Libia sono sottoposte a bombardamenti da parte dell’aviazione e della marina francese, britannica e americana, con l’aiuto dell’Italia. Se, come da recenti sondaggi, assistiamo a una spaccatura nell’opinione pubblica italiana – con un lieve vantaggio dei contrari all’intervento nonostante il fatto che tutti i partiti parlamentari siano favorevoli – altresì vediamo che i problemi derivanti dalla crisi libica si manifestano a livello internazionale in termini geo/politici, economici, militari.

I contenuti volutamente fumosi della risoluzione Onu 1973 («prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili e le aree a popolazione civile») stanno iniziando a creare delle frizioni sia in merito agli obiettivi da colpire, sia in merito a chi dovrebbe guidare la coalizione. Se pochi giorni di guerra dimostrano come si sia andati oltre la più estensiva applicazione della “no fly zone” (il bombardamento dell’abitazione di Gheddafi non sarebbe all’ordine del giorno stando a quanto dice il ministro Frattini), le frizioni sul comando derivano essenzialmente dalla ricollocazione degli imperialismi europei in uno scenario post bellico.
Sono evidenti a tutti le mosse di Sarkozy, il quale non solo vuole risolvere i suoi problemi di consenso in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, ma, agendo come una sorta di braccio politico delle lobbies energetiche transalpine (a iniziare da Total), vuole prendere il posto dell’Italia e dell’Eni. Ed è del tutto chiara, nel suo cinismo, la preoccupazione dei governanti italiani secondo la quale c’è chi «vuole prendersi il petrolio lasciando a noi soltanto i profughi».
Il disperato tentativo di consegnare alla Nato il comando delle operazioni militari (cosa che non si è ancora concretizzata, vista la mancata intesa tra le potenze imperialiste coinvolte) tuttavia, stando a quanto sostenuto a Ballarò dall’analista strategico Alessandro Politi, non cambierà la situazione dati i rapporti di forza all’interno della coalizione.
Problemi sull’interpretazione della “no fly zone” anche con la Lega Araba, organizzazione che già dal 22 febbraio scorso aveva sospeso la Libia dalle riunioni del Consiglio e delle commissioni. Dopo aver votato nei giorni precedenti a favore della Nfz e invitato l’Onu a sanzionare la Libia, ha espresso il suo disappunto, poi rientrato, per la gravità degli attacchi aerei. È evidente come si temano delle sollevazioni ulteriori nell’intero mondo arabo. I regimi arabi in piena crisi o con primi accenni di essa (come lo Yemen, il Barhein, la Siria, l’Arabia Saudita…) hanno tutto l’interesse di risolvere la situazione attuale, fino a gestirla direttamente (il Qatar ha già inviato diversi aerei) per arginare il turbine rivoluzionario.
Rivoluzione a cui non ha mai creduto una certa sinistra (stalinista) stregata dall’“antimperialista” Gheddafi e riluttante nei confronti di rivoluzioni bollate come “colorate” e filo Usa. Non avendo nessuna fiducia nelle masse si affidano a potenze “progressiste” come Cina e Russia. Ma vogliono spiegarci questi compagni, per fortuna esigui, come mai Hu Jintao e Putin non si sono opposti  - pur avendo il diritto di veto – alla  risoluzione 1973 dell’Onu? Indubbiamente non sono meno interessati di altri a stroncare una rivoluzione, che potrebbe lambire i loro stessi confini.
La guerra in corso rischia di durare a lungo dal momento che si risolverà con tutta probabilità con un intervento a terra. Tutto questo al fine di mettere su un governo di burattini al soldo del mondo occidentale, perfino più accomodante dell’ultimo Gheddafi. La rivoluzione araba ha avuto una sua fase di stallo per diversi motivi dovuti all’assenza di direzione e di solidarietà internazionale. Ma siamo sicuri che non è del tutto compromessa: se da una parte abbiamo  le sollevazioni in altri paesi arabi, dall’altra non deve mancare la nostra lotta internazionale contro la guerra imperialista e la crisi capitalistica i cui costi ormai insostenibili per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale devono essere risolti con la nostra iniziativa di classe.

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