SE ANCHE I REFERENDUM SONO “ITALIANISTI”…

Un settarismo sterile che va combattuto per dire NO al nucleare in Sardegna e dovunque, Italia compresa.

In questi giorni di sbornia nazionalista, con vessilli tricolori appesi dappertutto, ci sentiamo parte di coloro che manifestano un fastidio davanti a tutto ciò. Il massimo lo si raggiunge quando si sente dire che la Sardegna è la culla dell’unità dello stato italiano, come se la storia non individuasse nei Savoia, un manipolo di parvenu. Se quella stessa storia si fosse fermata al Trattato di Utrecht del 1714 i Savoia non avrebbero mai avuto a che fare con la Sardegna (in quanto in primo luogo, da semplici duchi, ottennero la corona reale di Sicilia).

Inoltre, ed è il caso di dirlo, l’opzione dello stato italiano unitario non fu propria dei Savoia, se non in un momento successivo. Il resto, da comunisti, lo conosciamo. Per dirla con Gramsci «Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti». Ancora: «La borghesia settentrionale ha soggiogato l'Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento».
Non è possibile, da comunisti e da sardi, non vedere come queste contraddizioni permangono ancora oggi a 150 anni dall’unità: basti pensare al fatto che il 60% delle basi militari italiane lo ritroviamo qui da noi, o al fatto che l’assenza di fenomeni sismici possa essere un motivo in più per costruire nella nostra isola le centrali nucleari previste da questo governo.
Da qui nasce la giusta raccolta firme volta a promuovere un referendum per dire un secco no, non solo alla costruzione di centrali nucleari ma anche a siti di stoccaggio di scorie radioattive che ancora non si sa dove mettere. Da qui la giusta creazione di un comitato referendario, che non si limitasse alle forze indipendentiste, una volta raggiunte le firme e terminate tutte le procedure burocratiche necessarie. Al tempo stesso la reazione al piano Scajola montava in tutto lo stato italiano, per dire no al nucleare, per confermare il risultato referendario del 1987.
Oggi abbiamo quindi due  date per i referendum (uno il 15 maggio - quello sardo - e uno il 12 giugno), ma solo perché il governo Berlusconi ha bocciato l’ipotesi dell’election day sperando di non far raggiungere il quorum. Ma che bisogna fare allora, se non mobilitarci ulteriormente e cercare di fare sintesi tra le due date?
Invece che succede? Anche qui un certo fastidio, per fortuna limitato a pochi elementi ma del tutto fuori luogo. Per alcuni, sembra che un referendum debba prevalere sull’altro. Con quali ragioni? La prima è che il referendum sardo, a differenza di quello italiano, parla anche dei siti di stoccaggio. Si dice quindi che se non dovesse passare il referendum del 15 maggio, anche una vittoria di quello del 12 giugno non metterebbe un argine alla possibilità di depositare le scorie italiane, prodotte durante la sua “era nucleare”, nella nostra isola. L’ipotesi è del tutto scolastica anche perché una differenza tra il referendum sardo e quello italiano riguarda il quorum: nel primo basta il 33%, mentre nel secondo deve recarsi a votare il 50% +1. Quindi una vittoria il 12 giugno non può non trovare fondamento in quella del 15 maggio.
Ma un’altra differenza, ben più importante, riguarda il carattere delle due tornate: la prima ha un carattere consultivo, e quindi non vincolante; la seconda ha invece un carattere abrogativo. Meglio una duplice vittoria no?
La seconda ragione del fastidio è invece di natura settaria, basata su un atteggiamento infantile nei confronti di qualsiasi cosa provenga da oltre Tirreno e sulla sfiducia nei confronti degli “italiani” che, sulla base di una falsa propaganda, approverebbero la scelta nucleare votando NO all’abrogazione o anche astenendosi in quanto potrebbe accollarsi tutto la a-sismica e “lontana” Sardegna. Non solo ci fidiamo di questi lavoratori, giovani e più in generale cittadini “italiani”, ma lavoriamo, anche attraverso le organizzazioni “italianiste”, affinché si superi il quorum e il nucleare non passi neanche il 12 giugno!

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