IL 1848, I SAVOIA E LE 5 GIORNATE DI MILANO

Un importante tassello risorgimentale che dimostra la vile natura di Carlo Alberto e di casa Savoia.

Agli italiani piacciono le date e intorno ad esse si celebra un evento svuotato del suo contenuto o amputato degli eventi precedenti. Anche per le celebrazioni del 150mo dell’unità d’Italia si tende a ridurre la storia del Risorgimento al suo punto d’arrivo, astraendo dalla sua complessità e dalla molteplicità delle aspirazioni dei suoi diversi protagonisti. Al netto di ciò concludiamo che quello che si celebra a riguardo è l’espansionismo militare del regno piemontese. La Casa Savoia infatti riprende l’iniziativa solo a ridosso del 1860 subordinando a se, agli interessi suoi e del blocco industriale ed agrario, l’intero Risorgimento, stroncando le speranze del 1848.

Il ‘48 è un anno rivoluzionario a livello europeo,  con insurrezioni a carattere liberale e nazionale volte a sovvertire l'ordine politico assolutista imposto a larga parte dell' Europa dal Congresso di Vienna dopo le campagne napoleoniche.
Iniziata in Francia, la rivoluzione si estese in Germania e all’impero Asburgico con vere e proprie sollevazioni in Ungheria e nella stessa Vienna. Ma anche in Italia: nel regno Lombardo-Veneto austriaco (con gli Asburgo al potere dal 1814) insorsero Milano e Venezia; nel Regno delle due Sicilie, nel Granducato di Toscana, nello Stato pontificio e nel Regno di Sardegna furono concesse delle costituzioni (quest’ultimo con lo Statuto Albertino rimasto in vigore fino al 1946).
Le cinque giornate di Milano stanno a dimostrare come i sabaudi, oltremodo celebrati in questi giorni rappresentino il tradimento più profondo delle aspirazioni democratiche dei patrioti. Ma dimostrano anche le spaccature tra i moderati (come il podestà, di nomina imperiale, Gabrio Casati) e i più intransigenti (come Carlo Cattaneo che accusò il Casati di essere «un ciambellano pronto a servire contemporaneamente la Corte di Vienna e quella di Torino»).
Il 18 marzo borghesi, studenti, artigiani e operai (o per dirla con Cattaneo «gente di plebe o di poco più lieta fortuna») eressero barricate, si creò un Governo provvisorio guidato da Casati e un Comitato di Guerra diretto da Cattaneo. Con il solo impeto degli insorti, e con la tenacia del Consiglio di guerra che aveva messo alle strette il Casati, il feldmaresciallo Josef Radetzky e le sue truppe dovettero ritirarsi a est (nel “quadrilatero”  Legnago, Mantova, Verona, Peschiera del Garda) il 22 marzo.
Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria subito dopo, ma la decisione venne presa dopo lunga gestazione in quanto una guerra di tale tipo, da una parte entrava in contrasto con gli accordi presi al Congresso di Vienna nel ’14 (e con l’alleanza militare con l’Austria del ‘31), dall’altra, mal si conciliava con la carica rivoluzionaria dell’insurrezione antiaustriaca, ma soprattutto antidinastica, che avrebbe dato molti problemi a Casa Savoia e alla destra piemontese. Le ambigue posizioni sabaude sull’Italia “in grado di farsi da sé” verranno riprese successivamente da Antonio Gramsci: «La politica incerta, ambigua, timida e nello stesso tempo avventata dei partiti di destra piemontesi fu la cagione principale della sconfitta: essi furono di una astuzia meschina, essi furono la causa del ritirarsi degli eserciti degli altri Stati italiani, napoletani e romani, per aver troppo presto mostrato di volere l’espansione piemontese e non una confederazione italiana; essi non favorirono, ma osteggiarono, il movimento dei volontari; essi, insomma, volevano che solo armati vittoriosi fossero i generali piemontesi, inetti al comando di una guerra tanto difficile». I Savoia, più che identificare le proprie sorti con quelle della nazione, volevano evitare lo spettro antimonarchico e di conseguenza un accerchiamento tra la Francia e una Lombardia repubblicane. Da qui tradimenti  e capitolazione, altro che Prima guerra d’indipendenza come narra la retorica patriottarda di questi giorni .
In parte vicino al pensiero di Cattaneo, Carlo Pisacane, altro eroe popolare del Risorgimento, aveva visto giusto quando dichiarava di non preferire i Savoia agli Asburgo. Ed è difficile che la storia gli dia torto.

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