LIBIA: TRA RIVOLUZIONE E ASSENZA DI DIREZIONE

Perché si è passati dai comitati rivoluzionari e le fraternizzazioni con l’esercito alla richiesta di aiuto esterno?

Come è possibile che la rivoluzione libica contro Gheddafi non abbia avuto gli stessi esiti di quella tunisina o egiziana? La conquista di grandi aree del Paese con estrema velocità, ha indicato l’odio massiccio nei confronti della dittatura nonostante chi dalle nostre parti giudichi un evento in base al Pil procapite (facendo un rozzo determinismo economico contrario al marxismo) o alle bandiere tricolori sventolate dagli insorti (scadendo in un formalismo che li bolla come “monarchici”).
Questa conquista è fermata a un certo punto, ma vedere le rivoluzioni come se si trattassero di processi lineari senza alti e bassi, come se le sconfitte confermassero un carattere reazionario del movimento, sta anche qui ad indicare una mancanza di analisi dialettica degli eventi. Il fatto che ora le potenze imperialiste (pur essendo in conflitto tra loro) stiano bombardando in Libia, non conferma minimamente il complottismo che vede i “ribelli” al soldo degli Usa. Anche perché alcuni complottisti scoprono solo ora, grazie a un recente articolo di Franco Bechis su “Libero”, che i sobillatori sono i francesi. Siamo consapevoli che le potenze imperialiste abbiano un ruolo nefasto, se così non fossero non le combatteremmo. Gli Usa ad esempio, tramavano da tempo per rimuovere Mubarak in Egitto (Wikileaks docet!), ma lo facevano proprio per prevenire - non riuscendoci - la rivoluzione che poi c’è stata.
Per questo non sosteniamo le interpretazioni sbirresche delle insurrezioni pilotate. Su questa linea, a sinistra dovremo ricordarcene, anche la rivoluzione russa del 1917 veniva vista come un evento pilotato da altre potenze, nello specifico l’impero germanico in guerra - nel primo conflitto mondiale - contro la Russia zarista.
La rivoluzione libica si inserisce appieno in quella araba e insieme sono un tassello importante della rivoluzione mondiale con cui tutti gli stati (Cina e Russia compresi) dovranno fare i conti.
Consapevoli di come sia fin troppo facile scrivere da casa nostra (avendo però allo stesso tempo le difficoltà cognitive di chiunque non sia stato sul campo di battaglia) possiamo dire che lo stallo creatosi nei momenti precedenti all’intervento imperialista derivi da un’assenza di direzione politica all’altezza dello scontro in atto e di una solidarietà internazionale tra le rivoluzioni egiziane e tunisine (e qui molto avrebbe potuto una Quinta internazionale fino ad ora soltanto proclamata). Quanto all’assenza di direzione non possiamo non notare come il vuoto emerso a Bengasi, sede del Consiglio provvisorio, sia stato ricoperto da esponenti fino all’altro giorno fedeli a Gheddafi. Questi personaggi (Ali Al Issawi, ex ministro per l'economia, Mahmood Jibril uno dei massimi pianificatori delle privatizzazioni scorse, Mustafa Mohammed Abdul Jalil ex ministro della giustizia) hanno voltato le spalle alle insurrezioni popolari che, sulla base di rivendicazioni sociali hanno dato vita ai comitati popolari che nelle diverse zone liberate (quindi non solo a Bengasi e in Cirenaica) fungevano da contropotere. Hanno quindi annientato la dinamica politica e sociale in favore di una logica prettamente militare.
Una rivoluzione non può solo basarsi su questo livello (che è maggiormente favorevole al raìs e allo stesso tempo è propedeutico alla richiesta di aiuti esterni da parte degli insorti), ma in primo luogo sulla conquista sociale degli avamposti dello stato: la fraternizzazione tra i soldati e le  masse è quanto di più bello una rivoluzione possa mostrarci, oggi come ieri. in Tunisia ed Egitto come in Libia. L’arrivo della flotta Nato nei pressi delle coste libiche ha invece dato un notevole contributo a Gheddafi nella sua propaganda “antimperialista” e alla sconfitta delle sollevazioni popolari nei quartieri di Tripoli e in centri vicini come Az Zawiyah, capaci di resistere per più di una settimana agli incessanti attacchi.
La rivoluzione libica può uscire dall’impasse (che è aumentata con l’inizio dei bombardamenti) grazie alle sollevazioni nel mondo arabo e, perché no, grazie anche alle repressioni di quegli stati coinvolti che radicalizzeranno ulteriormente le masse fino a scavarsi la fossa da soli.

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