Perché è importante unire le due parole d’ordine nelle manifestazioni contro la guerra imperialista in Libia
Una settimana di bombardamenti da parte delle potenze imperialiste dovrebbero già bastare per capire la reale natura di questo intervento: porre un argine alla rivoluzione che dai primi di gennaio vede protagonisti milioni di lavoratori e giovani dell’intero mondo arabo. Per questo riteniamo che manifestare semplicemente contro la guerra senza sostenere la rivoluzione sia un profondo errore per la sinistra.
Riducendo lo scontro in atto a una guerra tra bande (Gheddafi da una parte, imperialismo europeo e americano dall’altra) un semplice “no alla guerra” rischia di trasformarsi in un “si a Gheddafi”. Abbiamo scritto diversi articoli nel nostro blog per dimostrare che Gheddafi non è più l’antimperialista del 1969. In questi anni, tra privatizzazioni, joint ventures, fondi sovrani etc… è andato talmente tante volte a nozze con l’imperialismo da aver ricevuto lodi non solo da Berlusconi ma persino dall’Fmi. La sua non è una “repubblica socialista delle masse” ma una dittatura bella e buona e pure una galera per tutte quelle masse di migranti affamate dalle politiche capitaliste di rapina.
Ma cos’è una rivoluzione? Per Lenin «colui che attende una rivoluzione sociale pura non la vedrà mai; egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione». Ebbene questa rivoluzione, che ha avuto i suoi prodromi con le rivolte in Algeria e Marocco e che ci ha mostrato le sue prime vittorie in Tunisia e Egitto con la cacciata di Ben Ali e Mubarak, dimostra come la storia (e con essa le speranze di cambiamento) sia finita solo per opinionisti borghesi, accademici e sinistra salottiera. Scioperi di massa, creazione di comitati popolari rivoluzionari, conquista del supporto della base popolare dell’esercito, sono quanto di più bello una rivoluzione possa regalarci. In Libia, dal 17 febbraio scorso in poi, abbiamo avuto le stesse dinamiche.
Non possiamo cadere nel formalismo che definisce reazionario un intero movimento solo perché sventola la vecchia bandiera libica di re Idris. Per prima cosa è bene ricordare che in politica come in natura il vuoto non esiste: quella bandiera, che ci piaccia o no, nel deserto di riferimenti politici, è quella che ha unificato un popolo. L’opposizione monarchica è inesistente e il popolo libico in questi anni ha conosciuto una sola monarchia, quella verde di Gheddafi. Sarebbe bene vedere la storia della rivoluzione russa, iniziata nel 1905 con un corteo - e una petizione/supplica indirizzata allo zar Nicola II - guidato dal religioso ortodosso Georgij Gapon. Chi storce il naso oggi che contributo avrebbe dato allora? Infine, si dice «non è una rivoluzione ma una guerra civile!» come ulteriore elemento per negarne il carattere rivoluzionario, ignorando anche qua la storia delle rivoluzioni (sia borghesi - inglese e francese - che proletarie - russa) che spesso si sono intrecciate con le guerre civili. Altra cosa è dire che la rivoluzione in Libia abbia avuto una sua fase di stallo. Siamo d’accordo, ma sappiamo che ciò è dovuto da un’assenza di direzione politica socialista, il cui vuoto è stato colmato dagli ex ministri di Gheddafi (e quindi fino a poco tempo fa suoi complici) che si sono messi a capo del Consiglio provvisorio di Bengasi, dirottando il movimento rivoluzionario.
Per tutto questo dobbiamo stare dalla parte degli insorti, e su queste basi manifestare senza ambiguità contro questa ennesima guerra e la sua ipocrisia. Se l’intervento fosse veramente umanitario - cosa che non è - perché non si interviene in Bahrein o in Yemen dove anche lì si reprimono nel sangue i moti rivoluzionari? Le risposte le conosciamo e si basano sulla difesa degli interessi dell’imperialismo.
Difendere la rivoluzione araba che dall’Altantico si estende fino all’Arabia Saudita, significa quindi per noi dare il maggiore contributo alla lotta contro questa guerra. Riunire la sinistra su queste parole d’ordine è per noi, qui ed ora, il nostro obiettivo visto lo scandaloso appoggio bipartisan di TUTTE le forze parlamentari, comprese quelle che fino a pochi giorni fa manifestavano per “difendere la Costituzione”.
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