Lettera aperta alle forze vive della sinistra, del sindacalismo, della cultura presenti nella provincia di Sassari.
Nell’articolo precedente abbiamo scritto come le amministrative possono essere delle occasioni per non costruire alcunché di stabile. è sotto gli occhi di tutti come le organizzazioni della sinistra di questa provincia non siano radicate in quel territorio stracitato nei documenti politici, nei discorsi ecc… E se non abbiamo radicamento non solo non abbiamo una forza nel vero senso della parola (e non si scambi la forza con il mero dato elettorale, scaturito da altri fattori), ma neanche una capacità di ricambio: caratteristiche, queste, necessarie per un’organizzazione (quale essa sia) che dice di voler cambiare la società.
Poiché non vogliamo aggiungerci ai cantori dell’ “andare al popolo” (come se già non ci vivessimo col popolo, come se non fossimo popolo anche noi) senza fare una proposta concreta, e preso atto che la dimensione amministrativa (elettorale e non solo) è spesso l’occasione per misurare le diverse opzioni (seppur con tutti i limiti e le distorsioni analizzate nell’articolo precedente), vogliamo dire la nostra proponendo un “progetto comunardo” (perdonateci il revival, ma al 150mo dell’unità d’Italia preferiamo il 140mo della Comune di Parigi): ci si siede attorno a un tavolo (forze politiche, del sindacalismo di sinistra, sia a livello confederale che di base, movimenti e comitati in difesa dei beni comuni e dei diritti individuali, quanto di più dinamico esiste nel mondo della cultura), si stende un programma di rivendicazioni di classe e sulla base di questo (e della sua accurata propaganda finalizzata alla costruzione di contatti stabili) si costituiscono nei paesi e nelle frazioni e quartieri dei centri più grossi, le diverse “comuni”, comitati aperti alle diverse realtà, collettive e individuali, impegnate nel territorio. Non si tratterebbe di costruire un’organizzazione alternativa ai partiti provinciali, dal momento che questi esistono nella sola forma di comitato elettorale; né di creare nei diversi comuni delle strutture che sciolgono le diverse articolazioni degli stessi, dal momento che circoli e sezioni non esistono, o, se si, sulla carta.
Questo progetto per noi è la trasposizione pratica della necessità di unire la piattaforma generale con le rivendicazioni territoriali, di unire le rivendicazioni di classe dei diversi territori in una voce sola, di unire la sinistra aldilà delle narrazioni riformiste, governiste e elettorali.
Se parte, solo il tempo e la costanza dei compagni del territorio farà si che nei singoli comuni impegnati nelle elezioni amministrative, tale progetto collettivo si declina nella costruzione di una lista della sinistra indipendente dai poli borghesi (nelle città più grosse dove i partiti si presentano) e dalle liste civiche arlecchino in quelli più piccoli.
Ora pensiamo che occorra far partire il progetto nel modo più coinvolgente possibile - pensando anche a forme di incontro tra noi e forme di comunicazione necessarie a tale progetto - con chi si colloca nell’area della sinistra antisistema, per far si che si crei finalmente, anche se in forma di embrione, quell’organizzazione collettiva della quale si ha bisogno.
Se pensiamo che la maggior parte del tempo è utilizzata a costruire alleanze e liste (basate non si sa su cosa se non sul mutuo accordo finalizzato alla conquista di quante più poltrone a discapito dei programmi), perché non praticare un’altra strada che, nei fatti e sulla base di contenuti, conduce all’unità, al radicamento, alla radicalità? O vogliamo continuare a inseguire un Partito democratico che, giorno dopo giorno, fa capire sempre più chiaramente quali sono gli interessi che difende, sia a livello centrale che periferico?
Un proverbio sardo dice chiaramente che «non b’at acontzu sena iscontzu»: qui, diciamolo, non si può costruire nulla senza il superamento di tutto quello che conosciamo e che, nella sua rinomata stagnazione, frena qualsiasi desiderio di avere finalmente a che fare con una sinistra di fatto. Karl Marx chiamava comunismo quel «movimento reale che abbatte lo stato di cose presente»; bene, sappiamo qual è a sinistra questo stato di cose. Lo vogliamo rivoltare?
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