Il crollo dello stalinismo, la rivoluzione del ‘97, le illusioni nella democrazia borghese, l’alternativa socialista.
L’Albania sembra sull’orlo di una rivolta sul modello di quella tunisina. La manifestazione dell’opposizione del 21 gennaio, guidata dal Partito socialista è sfociata in un assalto al palazzo del governo da parte dei manifestanti, stanchi dell’esecutivo corrotto di Sali Berisha, eletto nel 2005 e 2009 grazie ai brogli elettorali.
La guardia repubblicana (Garda) ha reagito brutalmente, sparando ad altezza d’uomo sui manifestanti disarmati, dall’interno del palazzo del governo, uccidendo 3 persone e ferendone 85. La Procura generale albanese ha chiesto l’arresto di 6 ufficiali per omicidio plurimo, ma la polizia sembra rifiutarsi di eseguire l’arresto.
Gli osservatori di tendenza democratica vedono nel paese una stanchezza e una disillusione, rispetto alle liti tra i partiti, e una voglia di democrazia di stampo liberaldemocratico. Ai nostri occhi ci sembra una pia speranza, non sorretta da niente se non dalla cecità ideologica.
L’attuale fermento, che detto per inciso attraversa quasi tutti gli stati del Mediterraneo e non la sola Albania, è dettato dalle contraddizioni del sistema economico-sociale internazionale che la crisi mondiale sta facendo venire ora al pettine.
I pappagalli liberal-democratici sono 20 anni che auspicano democrazia per i paesi ex stalinisti, e in 20 anni abbiamo visto arricchirsi le borghesie parvenu di tutti questi paesi senza il bisogno della democrazia politica, che in Europa è stata imposta dalla lotta secolare del movimento operaio, non da un principio intrinseco della democrazia parlamentare, che anzi, nella storia del capitalismo, è una piccola parentesi.
Le differenze mostruose tra le classi in Albania si sono accresciute, più o meno nelle stesse proporzioni dell’Italia, ma lì si parte da una situazione ancora peggiore, ed è ciò la causa ultima del malcontento attuale.
Gli osservatori “democratici” temono, come tutti i governi europei un “caos” albanese come nel 1997, quando in realtà ci fu una rivoluzione, in cui la popolazione albanese iniziò a prendere in mano la società in seguito a una bancarotta finanziaria, che impoverì milioni di persone.
Quella rivoluzione, nonostante grandi esempi di auto-organizzazione dei lavoratori albanesi (che costrinsero grandi settori dell’esercito a fraternizzare con la popolazione), fu deviata su binari pro-capitalisti, a causa dell’assenza di un partito dirigente e un programma politico di democrazia socialista, che strappasse tutte le ricchezze alla borghesia albanese, agli sfruttatori italiani, greci e tedeschi e le mettesse a disposizione dell’occupazione e dello sviluppo di tutti. Sarebbe irrealistico prevedere come andranno le cose, ma di una cosa bisogna essere certi: non si può snobbare in modo razzista il movimento albanese, sebbene i media italiani, con la loro visione di “colonizzatori buoni” ci mostrino sempre l’Albania come un paese popolato da delinquenti e senza iniziativa né storia. I lavoratori sono tali a tutte le latitudini!
Il fatto che ora in Albania, come nel 1997, governi ancora Berisha, amico di Berlusconi e della Confindustria italiana, dimostra che la democrazia parlamentare borghese non ha nessun potere rigenerante, né emancipatore nei paesi schiacciati dalla povertà imposta dai capitalisti europei e dai governi corrotti.
Sicuramente in Albania, in Tunisia, e in tutti i paesi dove nasceranno vasti movimenti di contestazione allo status quo, seguiranno governi provvisori, situazioni convulse e instabili, dove non basteranno l’invio di truppe ONU come nel 1997-98. L’essenza dell’epoca attuale e che si farà strada è la scelta tra la democrazia diretta, socialista, per la pianificazione del benessere di tutti, o l’agonia di una società morente come quella borghese, che sempre di meno potrà garantire i livelli minimi di benessere a cui siamo stati abituati in questi brevi decenni e di relativa espansione economica.
La costruzione di un partito che coscientemente guidi le future lotte in direzione del socialismo è sempre più necessaria.
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