Dopo il rifiuto di sostituire Scajola, l’indicazione di Tremonti, Federmeccanica e la “riforma” di Confindustria.
«Nelle prossime settimane occorre verificare se questo governo e’ in grado di andare avanti e fare le riforme, altrimenti bisogna fare altre scelte. Un nuovo premier deve avere la maggioranza parlamentare ed essere indicato, e io sono d’accordo, dagli elettori. Se ci saranno le condizioni perché Tremonti abbia queste caratteristiche, perché no?»
Dopo aver rifiutato l’ingresso nell’esecutivo Berlusconi al posto del dimissionario Scajola alle attività produttive, queste dichiarazioni sono tra le più esplicite tra quelle dette dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Dimostrano, una volta più, quanto i padroni di questo paese vedano nel presidente del consiglio un peso e cerchino una nuova rappresentanza diretta dei loro interessi. Dal 1994, dopo il crollo rovinoso di Dc e Psi, non hanno potuto fare a meno di sostenere Forza Italia e in seguito il Pdl, e la rottura che sta arrivando al culmine non dipende certamente dallo squallore dei festini ad Arcore, per quanto lo scandalo proiettato ormai a livello mondiale possa contribuire a rompere gli indugi una volta per tutte. Perché mentre si pensa ad abbassare la soglia della maggiore età ai 16 anni (Ruby ne aveva 17 all’epoca dei fatti), secondo Marcegaglia occorrono “le riforme”, ovvero, misure politiche antioperaie persino più avanzate di quelle di questo governo.
La proposta presentata di recente dal direttore generale di Federmeccanica (i metalmeccanici padroni), che rappresenta anche l’azienda di Marcegaglia, riempie infatti il vuoto della politica, che anche questa volta, come a Pomigliano e poi a Mirafiori, farà il tifo in maniera sfacciatamente bipartisan. Come sostiene Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom «non ci saranno più due livelli di contrattazione, quello nazionale e quello aziendale in deroga, ma ne resterà uno solo. Le aziende potranno scegliere se applicare un contratto nazionale che, a quel punto non varrà più niente, oppure farsi il proprio contratto ad hoc, come ha scelto Marchionne».
E per questo che la riforma di Confindustria, come annunciato da Marcegaglia, non è un qualcosa che segue quanto avvenuto nel gruppo Fiat con la Newco che proprio dall’associazione dei padroni è uscita per imporre un accordo che andava anche contro le cose sancite tra loro e i sindacati filo padronali Cisl e Uil. La riforma di Confindustria, che nella parole della sua presidente equivale a «rafforzare il ruolo delle unioni territoriali per essere più vicini alle imprese», altro non è che la stampella al progetto di distruzione sistematica della contrattazione nazionale. Le due cose vanno insieme: non ci sarà più bisogno, per nessuna azienda, di uscire da Confindustria poiché non ci sarà più nessun contratto nazionale.
In tutta questa partita continua a non sentirsi la voce del gruppo dirigente della Cgil. O a sentirsi con tutta la sua inadeguatezza che, se da un lato non chiama a raccolta i lavoratori per uno sciopero generale, dall’altro non riesce nemmeno a convincere Cisl e Uil (tanto ormai sono appiattiti sulle posizioni padronali) nel timido a dir poco documento sulla rappresentanza approvato dal direttivo nazionale.
Lo sciopero del 28 gennaio convocato dalla Fiom rappresenta perciò un’ulteriore tappa nella radicalizzazione dello scontro e nella cristallizzazione delle posizioni. Quelle dei padroni sono chiare: «il Consiglio Direttivo - di Federmeccanica - ritiene che la proclamazione da parte della Fiom dello sciopero generale della categoria per il 28 gennaio evidenzia la lontananza dei vertici nazionali di quell’organizzazione dalla realtà economica del settore e delle imprese impegnate in una difficile sfida per recuperare produzione e occupazione fortissimamente falcidiate dalla crisi». Lo devono essere anche quelle della sinistra politica a supporto della Fiom, perché è veramente arrivata l’ora di farla finita con la lotta di classe condotta unilateralmente dalla classe dominante. Occorre reagire, e subito.
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