L’EGITTO, CHIAVE DELLA RIVOLUZIONE ARABA

Cinque anni fa l’inizio delle lotte operaie, ora la rivoluzione tunisina riaccende le fiamme nella terra del Nilo.

Come titolavano alcuni importanti giornali dell’area euromediterranea, la rivoluzione in Tunisia avrebbe potuto scatenare un effetto domino in tutto il nord Africa. Così quell’Egitto che già qualche anno fa aveva innescato le lotte sociali, oggi, sulla scia dei fatti tunisini, vede un movimento di massa di lavoratori e giovani che chiedono senza mezze misure la fine del regime di Mubarak.
Le motivazioni della protesta sono sia di stampo economico (80 milioni di persone al di sotto o appena al di sopra la soglia di povertà, scarsa istruzione e sanità, assenza di lavoro soprattutto per i giovani) che politico (le diseguaglianze vanno a nozze con il malcostume e la corruzione del regime) e gli obiettivi sono tali da non voler avere a che fare, esattamente come sta dimostrando il popolo tunisino, cambiamenti di facciata.
Il numero di persone coinvolte nella protesta e la determinazione, in barba a qualsiasi stretta autoritaria, dimostrano come non si vedevano manifestazioni del genere dal 1977, quando una rivolta contro l’innalzamento dei prezzi del pane, quasi fece cadere il regime di Sadat.
Ora, dopo poco più trent’anni, il regime egiziano e nuovamente in bilico. Come si dice spesso in casi del genere: “il vento scuote prima le cime degli alberi”. In effetti l’esitazione mostrata da parte dei comandi di polizia (indecisi in un primo momento se caricare la folla, cosa poi avvenuta con cannoni d’acqua, manganelli e lacrimogeni) riflette le spaccature nel regime tra chi vuole reprimere il movimento e chi invece vuole scendere a compromessi per guadagnare tempo. La prima ipotesi non è impossibile, ma, posto che si stanno moltiplicando i casi fraternizzazione tra gli elementi di base delle forze di polizia e i manifestanti, porrebbe una seria ipoteca sul regime, su Mubarak, ma soprattutto sul suo giovane figlio che sarebbe perciò designato a governare nella più totale delegittimazione e, elemento da non tralasciare, nell’inasprirsi della crisi economica che lo costringerà a misure sempre più impopolari. Un mix di elementi a totale sfavore della tranquillità della classe dominante egiziana. Pur non sapendo in anticipo come andranno a finire le cose, e come le decisioni saranno condizionate dagli eventi, è possibile quindi che una certa saggezza suggerisca la seconda ipotesi, che comunque non è meno pericolosa della prima per i lavoratori egiziani. Lavoratori che contraddistinguono il paese rispetto agli altri dell’area.
In Egitto oggi abbiamo una potente classe operaia che negli ultimi anni ha organizzato uno sciopero dietro l’altro: nel 2006 abbiamo avuto l’occupazione degli stabilimenti tessili a Mahalla che ha dato il “la” a una serie di scioperi e altre occupazioni in altri settori dell’economia egiziana: trasporti, produzione alimentare, edilizia. Una serie di lotte operaie che però non hanno avuto i risultati sperati, pur arrivando a far fare dietro front al governo e al suo piano di privatizzazioni delle imprese pubbliche, anche in assenza di un’organizzazione nazionale che rappresentasse e guidasse il proletariato egiziano verso la vittoria, verso il rovesciamento del regime e del capitalismo.
I lavoratori egiziani hanno quindi il compito di dare un grosso contributo per tutta l’area del nord Africa rappresentando una speranza per la vittoria anche in Tunisia, Algeria, Marocco e porre le basi per una federazione socialista che superi i confini dando quella connotazione sociale che il presidente Nasser, in un’ottica bonapartista, non sapeva e non poteva dare. E hanno anche l’impegnativa incombenza di spingere ai margini, in maniera risolutiva il fondamentalismo dei “Fratelli musulmani”, una opposizione di facciata al regime di Mubarak che nelle ultime lotte operaie si è distinta per stare dalla parte dei padroni e del governo, ma che, proprio grazie alle lotte di massa, sta subendo anch’essa spaccature. Un dato rilevante che ci fa capire una volta più chi è il motore della storia.
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