La proposta della quinta internazionale, le analogie con la prima, la battaglia delle idee da condurvi dentro.
È passato più di un anno dall’incontro internazionale dei partiti di sinistra (incontro al quale hanno partecipato 55 partiti, tra cui Rifondazione Comunista, provenienti da 39 paesi di tutti i altri continenti) e dalla proposta, lì formulata, da parte di Hugo Chávez, presidente della repubblica venezuelana: quella di costruire una quinta Internazionale rivoluzionaria che raccogliesse l’eredità delle quattro precedenti.
Non se ne sente più parlare e questo, in un momento in cui la crisi irreversibile e simultanea del capitalismo globale richiederebbe un’organizzazione internazionale capace di rovesciarlo (già agli albori del movimento operaio, Marx e Engels scrivevano nel nostro manifesto che “i lavoratori non hanno patria”), porta a galla i timori di chi pensa che questa proposta possa partorire solo uno strumento per le diplomazie delle burocrazie dei partiti con l’obiettivo di incontrarsi qualche volta all'anno e produrre un paio di risoluzioni per poi farle rimanere sulla carta.
Tuttavia per i giovani, i lavoratori e la sinistra la questione non può essere elusa: le diverse organizzazioni internazionali della sinistra anticapitalista esistenti oggi sono lo specchio della frammentazione che in Italia conosciamo da vicino (se guardiamo alle recenti scissioni da Rifondazione vediamo che ognuna di queste, Pcl, Pdac e Sinistra critica, ha un suo referente internazionale) e tale frammentazione, ahinoi, contribuisce a mantenere il marxismo in quell’angolino dove è stato riposto da decenni di egemonia capitalista e dalle sconfitte del movimento operaio. Per noi, che troviamo ispirazione nel programma di transizione di Trotskij, vedere tante “quarte internazionali” che non dialogano neppure tra di loro ne è la dimostrazione. Un’organizzazione di massa invece, sia a livello nazionale (come il partito della sinistra di classe per il quale lavoriamo) che internazionale (come la quinta, che trova fondamento nelle rivoluzioni latinoamericane), pur non nascendo per filo e per segno come vorremmo noi, sarebbero una grossa opportunità per la diffusione su larga scala delle idee del marxismo rivoluzionario nella battaglia delle idee in alternativa alle tendenze riformiste che certamente non mancheranno.
La prima internazionale, che sorse in seguito alla Lega dei comunisti del 1847, anch’essa a carattere internazionale, nacque nel 1864, non era rivoluzionaria e al suo interno non c’erano solo i marxisti: erano presenti infatti sindacalisti riformisti britannici, proudhoniani francesi, mazziniani italiani, anarchici e altri. Combinando la fermezza sui principi una grande flessibilità tattica, gradualmente Marx ed Engels conquistarono la maggioranza raggiungendo lo scopo di gettare le basi teoriche per un'internazionale che (almeno formalmente) si dichiarava marxista, la Seconda. Anche se è vero che non si impedì la degenerazione riformista dei vari partiti membri, fino al criminale voto per la Prima guerra mondiale. Con lo stesso obiettivo di conquista della maggioranza i marxisti del XXI secolo devono vedere la quinta internazionale: una strada tutta in salita (come del resto lo è quella del conflitto di classe) ma necessaria per il raggiungimento dei nostri obiettivi.
L’internazionalismo per Marx ed Engels non era un capriccio, o il risultato di considerazioni sentimentali. Nasceva naturalmente dal fatto che il capitalismo si sviluppa come un sistema che travalica i confini. Le tragedie passate come lo stalinismo (che ha teorizzato il “socialismo in un solo paese” e che ha sciolto la terza internazionale) sono errori che devono essere accantonati allo stesso modo del riformismo.
Ora più che mai, alla sua crisi, occorre una risposta organizzata, uguale e contraria per la costruzione di un ordine nuovo mondiale fondato sulla gestione collettiva delle risorse, sulla pianificazione democratica della produzione e della distribuzione dei beni e sulla democrazia consiliare.
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