Riforma sociale o rivoluzione, socialismo o barbarie, l’attualità del pensiero di questa grande rivoluzionaria.
«Esiste un'unica soluzione alla tragedia nella quale la Russia è attanagliata: un'insurrezione nelle retrovie dell'imperialismo tedesco, la sollevazione delle masse tedesche, che dia avvio alla rivoluzione internazionale per porre fine a questo genocidio. In questo fatidico momento, preservare l'onore della rivoluzione russa equivale a vendicare quello del proletariato tedesco e dei socialisti di tutto il mondo». Queste parole del 1918 basterebbero da sole a polverizzare la infame vulgata stalinista secondo cui Rosa sarebbe stata una revisionista nemica del socialismo.
Identiche a quelle dei leader bolscevichi di quegli anni, sono la dimostrazione che fino alla fine riponeva la sua unica speranza nel movimento delle masse, per portare avanti la rivoluzione socialista.
Già da 20 anni prima (1899) con “Riforma sociale o rivoluzione” combatté il piatto e impotente riformismo di Bernstein, che da allora popola eternamente le bocche dei dirigenti “ragionevoli” della sinistra, non ultimi quelli della sinistra “radicale” italiana. In questa sua opera Rosa distrusse quelle ipotesi che mettevano in discussione le conquiste teoriche marxiste sul capitalismo e la lotta di classe. L’idea che il capitalismo si possa adattare ai tempi è basata, oggi come allora, sulla negazione di quello che è il suo carattere fondamentale, cioè il distacco totale tra la (quasi) illimitata produzione per il profitto e la ridotta capacità dei lavoratori di acquistare le merci prodotte, che tra l’altro non conclude la faccenda. Per le stesse leggi della produzione, chiarite da Marx, questa non può proseguire al’infinito, perché diventa non redditizia, e ciò induce una gran parte del capitale a gettarsi sulla speculazione finanziaria, creando ricchezza fittizia, crediti impossibili da riscuotere e prezzi delle merci assolutamente irreali (da decenni tutta una serie di prodotti agricoli potrebbero costare quasi zero ai consumatori), il che crea l’ambiente ideale per le “bolle” finanziare che quando esplodono, oltre a smentire le teorie di un presunto equilibrio del mercato, cacciano sulla strada migliaia di persone permettendo però grossi arricchimenti ai grandi lupi della finanza e dell’industria.
La Luxemburg sembrava credere a un crollo del capitalismo su se stesso, è ciò è errato, ma non basava la sua prospettiva su questo, bensì sull’iniziativa delle masse dei lavoratori, e del loro partito, per costruire una società direttamente e razionalmente gestita.
Rosa Luxemburg difese sempre, e a ragione la teoria che il capitalismo accumula contraddizioni tali da non potere essere riformato se non col sacrificio di milioni di lavoratori, come ora, e difese sempre l’idea che la sola lotta per le riforme nell’attuale regime non migliora nel lungo termine la qualità della vita, ma solo una rottura rivoluzionaria della società possa farlo. Lei stessa poté partecipare, prima del tragico assassinio (appoggiato dal centro sinistra dell’epoca), al risveglio rivoluzionario delle masse tedesche, che in pochi mesi costituirono centinaia di Consigli dei lavoratori, che si presentavano come un potere statale alternativo alla corrotta democrazia parlamentare, dal basso, ma che fu tradito appunto da partiti ufficiali, che consegnarono la Germania ad un ulteriore decennio di crisi spaventosa e poi all‘ avvento del nazismo.
Noi ricordiamo Rosa Luxemburg come una rivoluzionaria che diede la vita, nel vero senso della parola, per la speranza della società socialista, in cui liberati dall’oppressione di una classe parassita che si appropria della ricchezza prodotta da tutta la società, gli individui possano vivere liberamente. Lo fu col realismo che richiede l’impresa e che profeticamente le fece criticare con disprezzo quelle caratteristiche dei riformisti che ancora oggi tengono la sinistra ad un livello vegetativo, cioè l’appiattimento su istituzioni corrotte, viste come soluzione ai mali della società e la mancanza di spirito combattivo e fiducia in quelle masse di lavoratori, che anche a Mirafiori hanno mostrato che il capitalismo non può piegare all’infinito la coscienza di classe.
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