ALGERIA, MAROCCO E LA PRIMAVERA TUNISINA

Solo “poche” bracciate a nuoto sotto la nostra isola divampa l’incendio della guerra di classe degli oppressi.

Il carovita in Algeria sta provocando delle forti reazioni da parte dei lavoratori e dei giovani (il 75% della popolazione sotto i 30 anni è senza lavoro). A subire l’impennata dei prezzi i beni di largo consumo: olio e zucchero sono aumentati nell'ultima settimana di oltre il 20%. Così la paura per la possibile mancanza di pane e altri generi alimentari è sfociata in diverse manifestazioni che hanno interessato le principali città del paese. L’annullamento delle principali manifestazioni sportive e le moschee presidiate dalle forze dell’ordine la dicono lunga sulla radicalità della protesta dei giovani algerini.

Al tempo stesso in Marocco la mancanza di fornitura d'acqua, le interruzioni di corrente e altri problemi hanno provocato una rivolta a Jebha e tre leader della protesta sono stati arrestati. Ma i fatti di Algeria e del Marocco, insieme alle giuste rivendicazioni del popolo Saharawi, si uniscono a quella che da più parti è considerata la “primavera tunisina”.
Dopo il suicidio di tre ragazzi, una forma estrema di protesta che rispecchia la profonda frustrazione sentita dai giovani tunisini, le strade di Tunisi sono diventate il teatro degli scontri tra manifestanti che chiedono libertà, diritto di lavoro dignitoso e pane e forze dell’ordine. Di fronte a queste proteste, la dittatura di Zine El Abidine Ben Ali non ha tardato a dare le sue risposte. Al potere da 23 anni, il dittatore ha tenuto un discorso il 28 dicembre scorso puntando il dito contro questi giovani “estremisti” e “agitatori pagati” che abbassano la reputazione del paese presso gli investitori stranieri! Profitti, proiettili, gas lacrimogeni, detenzioni, torture e uccisioni si sposano così alla perfezione.
Quali sono le cause del disagio del popolo tunisino e della sua mobilitazione? La Tunisia è stata considerata un paradiso per gli investimenti privati nei settori del turismo (sette milioni di presenze all’anno, ricavi per 5.200 miliardi di euro e 350.000 persone impiegate) e dei servizi.
Durante il lungo periodo di crescita negli anni scorsi alla maggior parte della popolazione non sono arrivate che le briciole. Se nel 2004 il tasso di disoccupazione era del 13,9%, alla fine del 2009 è arrivato al 22%. Tra i lavoratori prevalgono i contratti precari e temporanei e per mantenere la competitività delle industrie tessili, meccaniche ed elettroniche sono stati imposti salari da fame che non raggiungono il livello minimo di esistenza, con un il salario che si aggira intorno ai 250 dinari (130 di euro).
Ora con la crisi anche le briciole vengono meno e se pensiamo che l'80% degli scambi commerciali della Tunisia avviene con l'Unione europea, che a sua volta sta vivendo una profonda recessione, ci aspettiamo un calo maggiore nel prossimo periodo, tutto a discapito dei lavoratori e dei giovani “estremisti”!
Ma all’interno di queste proteste risalta agli occhi la presenza massiccia dei salariati organizzati che pone fine a un'epoca caratterizzata da una stasi apparente nella lotta di classe.
La rivolta sta sferrando un duro colpo alla dittatura, le spaccature nel sistema cominciano ad essere evidenti e l’uso massiccio della violenza da parte dello stato non rappresenta altro che una debolezza di fronte all’imponente ascesa del movimento. Ancora abbiamo a che fare con un movimento spontaneo privo di una guida e di un programma rivendicativo chiaro, ma la rivolta tunisina e le lotte in Algeria, Marocco e Shara occidentale stanno amplificando un nuovo ciclo di lotte nel mondo arabo, iniziato in Egitto qualche anno fa.
Si riapre così, sotto nuove forme, quel grande problema storico irrisolto di libertà, emancipazione e unità del popolo arabo, diviso, spezzettato, massacrato e dominato per oltre un secolo e che aveva intrapreso un processo di liberazione nella seconda metà del secolo scorso, ma che si era arenato non facendo coniugare l’emancipazione sociale a quella nazionale. Ora è arrivato quel momento.


Da altri siti:

Nessun commento:

Posta un commento