
Non ci si può certo meravigliare delle vergognose parole di Fassino (l’ultimo segretario dei Ds e aspirante sindaco di Torino), di Chiamparino (attuale sindaco di Torino), di altri pezzi grossi del Pd così come dei loro rottamatori (Renzi), né del silenzio assordante di quel Bersani che molti lo vorrebbero come il leader che riporta quel partito nell’area della sinistra.
Ma li citiamo volentieri convinti che dopo quanto accaduto a Mirafiori, per quei molti, la differenza tra ciò che è sinistra e ciò che non lo è sarà ancora più chiara, al punto da non tenere minimamente conto delle provenienze politiche di origine: chi trova qualche differenza sostanziale tra le dichiarazioni di Marini (provenienza Dc e Cisl) e, appunto, quelle di Fassino (un tempo delegato del Pci per le fabbriche torinesi)? Fatta qualche eccezione, dalla quale non escludiamo la possibilità di scissioni più o meno future a sinistra, il miscuglio nel Pd è compiuto.
Ma li citiamo volentieri convinti che dopo quanto accaduto a Mirafiori, per quei molti, la differenza tra ciò che è sinistra e ciò che non lo è sarà ancora più chiara, al punto da non tenere minimamente conto delle provenienze politiche di origine: chi trova qualche differenza sostanziale tra le dichiarazioni di Marini (provenienza Dc e Cisl) e, appunto, quelle di Fassino (un tempo delegato del Pci per le fabbriche torinesi)? Fatta qualche eccezione, dalla quale non escludiamo la possibilità di scissioni più o meno future a sinistra, il miscuglio nel Pd è compiuto.
Ma se assodiamo che il Pd non è un partito di sinistra occorre chiederci che cosa vuole fare la sinistra nello scenario degli attacchi padronali senza precedenti nella storia repubblicana e, al tempo stesso, del risveglio della classe operaia.
L’accordo che ci ripropone la fabbrica dell'800 si dimostra oggi l’evento che, in barba alle primarie di Vendola, spariglia definitivamente le vecchie composizioni politiche, e in questo caso il centro sinistra, trascinando anche quei partiti d’opinione come l’Italia dei valori dall’altra parte della barricata, come si capisce dalle parole del capogruppo alla camera Donadi.
Qui troviamo le risposte a quanti vorrebbero prima di tutto un accordo con il Pd e solo successivamente parlare di programmi, come se questi fossero tre o quattro cose da barattare in un tavolo a prescindere da quel che accade realmente nella società. I programmi vivono nell’attualità e riflettono una polarizzazione (leggasi divisione in classi contrapposte) sempre crescente: da una parte i lavoratori, la stragrande maggioranza della popolazione, quelli che creano la ricchezza; dall’altra i padroni, un’infima minoranza, ma al tempo stesso quelli che si appropriano della ricchezza prodotta dai lavoratori. Interessi inconciliabili, tanto più in un contesto di crisi, che meritano una risposta nello scacchiere della rappresentanza politica.
Quelle di Ferrero e Diliberto risultano incomplete in assenza di un abbandono delle alleanze col Pd, quelle di Vendola devono fare i conti con le sue alleanze personali ricercate in caso di primarie contro Bersani (come quella con Chiamparino e Renzi alla luce del suo scarso radicamento al nord), mentre quelle di Bertinotti e la neonata associazione “Lavoro e libertà” paiono collocarsi nella logica delle strutture di fronte a sostegno di Sinistra Ecologia e Libertà.
Gianfranco Pasquino, politologo che ha firmato di recente un editoriale su La Nuova Sardegna, parla apertamente di possibilità di ricerca, da parte operaia, di nuove forme di rappresentanza, alla luce della frammentazione odierna. A cosa si riferisce non è dato sapere. Quello a cui i lavoratori, i giovani e i sinceri militanti della sinistra devono lavorare, in assenza di una rappresentanza politica lamentata dagli stessi dirigenti Fiom, deve essere invece chiaro: la costruzione di un vero partito di classe che si fondi sull’indipendenza dai poli borghesi e su un programma di rivendicazioni all’altezza dello scontro in atto deve essere all’ordine del giorno.
L’esempio a cui guardiamo, aldilà delle involuzioni politiche che conosciamo (e nelle quali non ci riconosciamo), è quello del Partido dos Trabalhadores in Brasile, nato dall’esigenza di una rappresentanza politica dei lavoratori del sindacato metallurgico a cavallo tra gli anni ‘70 e ’80. Uno scenario del genere non solo è del tutto possibile visto tutto ciò che si muove intorno alla Fiom, il vero motore della sinistra oggi in Italia, ma è l’obiettivo al quale i sinceri militanti devono lavorare per dare organizzazione e programmi a quella stragrande maggioranza della popolazione che sta dalla parte giusta.
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