Finito il mandato di Epifani, la nuova segretaria della Cgil continua nel solco delle politiche concertative.
Susanna Camusso è certamente più conosciuta agli occhi della maggioranza degli italiani per le sue frequenti apparizioni a Ballarò che non per i suoi trascorsi da dirigente sindacale, e questo nonostante i suoi 35 anni di militanza. Non così per i metalmeccanici della Cgil che hanno potuto vedere il suo operato nella Fiom negli anni ’90, quando, precisamente nel 1993, le venne tolta la delega per aver sottoscritto un accordo in Fiat sul lavoro notturno considerato troppo penalizzante per le donne.
Era l’epoca in cui la Fiom guidata da Claudio Sabbatini, pur non andando mai allo scontro diretto con le politiche concertative della Cgil, mostrava i primi attriti. Cosa che non accadeva da quando, in seguito alla sconfitta alla Fiat nel 1980, una vera e propria pulizia etnica estromise le componenti più radicali dal sindacato metalmeccanico.
Era l’epoca in cui la Fiom guidata da Claudio Sabbatini, pur non andando mai allo scontro diretto con le politiche concertative della Cgil, mostrava i primi attriti. Cosa che non accadeva da quando, in seguito alla sconfitta alla Fiat nel 1980, una vera e propria pulizia etnica estromise le componenti più radicali dal sindacato metalmeccanico.
Divenuta segretaria poco dopo la manifestazione della Fiom del 16 ottobre (quella in cui Epifani accennò vagamente, costretto dagli slogan dei manifestanti, allo sciopero generale), Camusso ha subito avuto il niet di Rinaldini e dell’area “la Cgil che vogliamo”. Motivazioni? Più che valide!
Mentre il governo blocca la contrattazione nel pubblico impiego e con il collegato lavoro di strugge il diritto al lavoro e mentre Federmeccanica e Confindustria annullano il contratto nazionale di lavoro, la Cgil e Camusso partecipano a un confronto sulla produttività con le controparti senza nessun coinvolgimento né un mandato del comitato direttivo. Un problema nel merito, con una posizione subalterna, e nel metodo, con un pesante attacco alla democrazia interna.
Ovviamente sul versante dello sciopero generale nulla e poi nulla: “prima la manifestazione del 27 novembre!”. Fatta la quale, ovviamente di sabato, con qualche parola contro il governo ma senza mai nominare Confindustria, tutto torna come prima nonostante nel frattempo le manifestazioni di studenti, precari e ricercatori dimostravano che si poteva fare il salto di qualità unificando queste lotte con quelle operaie.
Nel frattempo le lotte studentesche sono continuate ma dello sciopero ancora nulla. Ricevendo una delegazione di studenti Camusso non li rassicura: “Siamo pronti a sviluppare un rapporto con il movimento degli studenti, trovando i modi e le forme più opportune, tenendo però ben presenti non solo i ragionamenti sullo Sciopero Generale”. Ancora oggi preferisce parlare di marce per il lavoro, come se nulla fosse successo a Pomigliano e a Mirafiori. Se a Pomigliano Epifani si è di fatto schierato con il “si” nel referendum truffa che chiedeva ai lavoratori di scegliere a quale albero impiccarsi, oggi Camusso, di fronte alla prova di forza di Marchionne che vuole togliere il diritto dei lavoratori ad eleggere i propri rappresentanti, non ha di meglio da fare che implorare Marcegaglia affinché... ...affinché cosa?
Come dice giustamente Giorgio Cremaschi l’accordo di Mirafiori ha un precedente solo nel 2 ottobre 1925 quando Mussolini, la Confindustria e i sindacati nazionalisti sciolsero le commissioni interne, perciò la Cgil non può continuare ad avere queste posizioni subalterne.
La Fiom, durante il comitato centrale del 29 dicembre ha deciso che il 28 gennaio ci sarà lo sciopero generale della categoria e il segretario Maurizio Landini, a margine, ha detto risposto per le rime a Fassino. Secondo l’esponente del Partito “democratico”, candidato alla carica di sindaco di Torino, sarebbe giusto che gli operai votassero l’accordo perché lui, se fosse operaio, farebbe così. «Andate prima nelle catene di montaggio e vediamo se poi ragionate ancora nello stesso modo» è stata la risposta di Landini.
Siamo convinti che anche ai burocrati sindacali farebbe bene una “passata di catena di montaggio”. Sarebbe una bella scuola di vita per far si che anche in Cgil ci sia veramente un nuovo corso conflittuale e di classe.
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