I DEMOCRATICI E LA VOGLIA DI TERZO POLO

Dopo la vittoria di Pirro di Berlusconi il desiderio delle larghe intese antioperaie è sempre maggiore nel Pd.

Prima che il governo Berlusconi ottenesse la fiducia alla Camera c’era chi già lavorava ad un’alleanza con il terzo polo da realizzarsi in questa legislatura. Addirittura Enrico Letta, il vicesegretario del PD, in un’intervista all’Unità auspicava un governo sul modello di quello presieduto da Ciampi nel 1993 sostenuto dalle “forze di buonsenso in Parlamento, compresa una parte del Pdl”. Sarebbe bene ricordare cosa furono quegli anni.

Negli anni ’90 infatti l’Italia subisce la prima vera crisi dalla fine degli anni ’70: le grandi fabbriche dichiarano ristrutturazioni, licenziamenti, esuberi e il governo Ciampi prosegue la cura dimagrante dello stato sociale iniziata dal precedente governo Amato. Entrambi gli esecutivi hanno goduto dell’appoggio del Pds.
Così, dopo il primo attacco alle pensioni sferrato da Amato, il futuro presidente della Repubblica diviene il regista dei famigerati accordi di luglio siglati con i sindacati e Confindustria: viene abolito quello che resta della scala mobile (il meccanismo che agganciava i salari all’inflazione reale), viene stabilito il divieto di sciopero per tre mesi attorno ai rinnovi contrattuali e vengono formulate le regole per la formazione delle rappresentanze sindacali unitarie (in cui si sancisce la nomina dall’alto di un terzo delle Rsu). L’auspicio di Letta, qualora non bastassero le esternazioni precedenti, sue e di altri esponenti del Pd a iniziare da Bersani, da l’idea della natura confindustriale di questo partito.
Il voto alla camera mostra ora un governo di minoranza che dovrà fare mille acrobazie per far approvare i suoi provvedimenti, ma al tempo stesso allontana la prospettiva di governi di transizione avvicinando invece quella del ricorso alle urne.
Questo significa che si andrà a votare con tutta probabilità con la legge elettorale in vigore, il “porcellum”, tenendo viva la possibilità di avere a che fare, data la presenza del terzo polo, con un inizio di legislatura dove nessuno ha la maggioranza assoluta. E questo dato potrebbe essere la precondizione per quel governo di larghe intese che piace tanto al Pd, una “grosse koalition” all’italiana, o semplicemente, per dirla alla Letta, un “super-Ciampi” del XXI secolo; il più adatto a condurre un attacco feroce alle condizioni salariali e normative dell’intera classe lavoratrice di questo paese sotto la regia onnipotente dei banchieri europei, ma, di riflesso, anche il più adatto a far fare il salto di qualità alla conflittualità sociale.
Ma se per i capoccia del Pd (D’Alema e il solito Letta) il terzo polo è l’interlocutore privilegiato, come si evince dalle interviste all’indomani del voto di fiducia, per quelli della sinistra (tanto Vendola quanto Diliberto) continua l’ossessione dell’ammucchiata antiberlusconiana, roba vecchia che ha avuto sempre e solo l’effetto di preparare il terreno per il ritorno in grande stile dell’ottavo nano.
Come i governi tecnici dei primi anni ’90 anno prodotto lotte eroiche ma isolate (occupazione per 38 giorni dell’Ilva di Piombino, occupazione del Comune di Crotone da parte degli operai Enichem, incatenamento di massa ai cancelli dell’Ilva di Taranto ecc…), governi simili oggi, ma in un contesto economicamente peggiore faranno si che i lavoratori e i giovani di questo paese sentano la necessità di una sinistra vera che guidi le lotte e lavori per unificarle in una prospettiva anticapitalista basata sulla nazionalizzazione del credito, del patrimonio industriale e dei servizi privatizzati, sulla riconversione ambientale, sulla difesa del salario e sul blocco dei licenziamenti.
Lo scacchiere politico che ne sta uscendo fuori assume delle sembianze inedite, se la sinistra accodandosi al centrosinistra non ha contribuito a combattere il bipolarismo in tutti questi anni, può cogliere l’attimo ora che questo si sta inesorabilmente sfaldando. Altrimenti per lei, o meglio, per la sua burocrazia, sarà veramente l’ultima spiaggia.

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