DILIBERTO, O DEL “SENNÒ VINCE BERLUSCONI”

Le cose da non chiedere a Bersani, il film già visto sulle due tappe, la storia che non ha insegnato nulla.

Il 5 dicembre si è tenuta la convention del Popolo Viola a cui hanno partecipato tra gli altri Oliviero Diliberto, portavoce attuale della Federazione della Sinistra e Marco Ferrando del Pcl. Avremmo voluto che anche Diliberto proponesse quelle che non sono idee esclusive di Ferrando, ma di larga fetta della sinistra diversamente collocata e, soprattutto, di buona parte dei lavoratori e degli studenti in lotta: la non collaborazione col Pd che sostiene Marchionne anziché i lavoratori Fiat, il ritiro da tutti gli scenari di guerra, il ritiro dei finanziamenti alla scuola privata, ecc…

Invece no, Oliviero non condivide nulla di tutto questo (parole sue) andando anche a dire che, ad esempio, “non possiamo chiedere a Bersani l’abolizione dei finanziamenti alle scuole private, perché sennò vince Berlusconi!”. Tutto questo rinnega proposte come “ritiro delle truppe” e frasi come “la scuola pubblica è il bene più importante”, più e più volte ripetute, e dimostra come la Fds vuole prima di tutto rendersi accettabile al Pd, fare un’ammucchiata anche con l’Udc per battere Berlusconi, e solo in un secondo momento parlare di queste cose, dei nostri programmi. Ma quando?
Tralasciando il secondo Governo Prodi che ha portato la sinistra dritta dritta fuori dal Parlamento (evidentemente la propaganda dei miseri bonus una tantum a una fascia di precari non ha bilanciato la cruda realtà fatta di maggiori finanziamenti alle spese di guerra, ai 9 miliardi di tasse tagliate alle grandi imprese ecc…), quel che Diliberto propone oggi è una ripetizione dell’esperienza del 1996, quando con una desistenza si prometteva al popolo della sinistra di sostenere l’Ulivo per battere Berlusconi, ma stando fuori dal governo e votare solo i provvedimenti in favore dei giovani e dei lavoratori. Ma una volta lassù il “senso di responsabilità” nel sostenere misure antioperaie ha preso il sopravvento. “Perché sennò torna Berlusconi!”. Così Rifondazione comunista, allora comprendente anche Diliberto, votò a favore della creazione dei Cpt, della precarizzazione del lavoro con il pacchetto Treu, della privatizzazione dell’80% delle aziende pubbliche italiane e così via, fino a spaccarsi con il nostro quando la maggioranza del partito tolse la fiducia a quel governo. La parentesi dei governi che poi si sono avvicendati con Diliberto ministro in quota Pdci ha dimostrato quanto siano state utili quelle politiche per evitare il ritorno di Berlusconi.
Ma la cosa che più fa sorridere (poiché anche nel dramma della sinistra odierna non bisogna perdere il senso dell’umorismo) è che in un eventuale vittoria alle votazioni alleati con il Pd, l’unica possibilità di non farsi riprendere da quel famigerato senso di responsabilità è riposta in una misera percentuale di consensi: il tanto che basta per entrare in Parlamento ma non di più, in modo da non essere poi determinanti nel tenere in vita quel governo che verrà, se e quando verrà.
Diversamente dovremo rimandare il socialismo in una seconda fase e nel frattempo votare anche noi ulteriori tagli alla spesa pubblica, distruzione del contratto collettivo nazionale (per rendere competitive le imprese secondo il “modello tedesco”), miliardi alle imprese e alle banche ecc… tutte misure che un Pd sempre più confindustriale è pronto a sostenere.
Altro che realismo: qui si ignorano gli insegnamenti della storia, si respinge come la peste lo studio dei rapporti di forza tra le classi in questo paese, si accresce l’assenza di rappresentanza politica delle lotte!
Qui sta la necessità di una sinistra con un programma indipendente che sappia scegliere una volta per tutte con chi stare nelle lotte che invece, comunicati stampa a parte, sono totalmente messe in secondo piano rispetto alle logiche elettorali. La rinuncia a essere una vera sinistra oggi è funzionale solo alla sua frammentazione (dallo scioglimento del Pci alla balcanica situazione attuale) e alle sue misere percentuali di consenso. E la linea intrapresa dalla Fds sintetizza magistralmente questa rinuncia.

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