L'editoriale del n° 235 di FalceMartello, che diffonderemo domani in occasione dello sciopero.
Il 6 maggio ci sarà lo sciopero generale della Cgil. L’ultimo è stato il 25 giugno del 2010. Quasi un anno fa. In quest’anno sono successe tante cose. Il cosiddetto piano Marchionne a Pomigliano è diventato la linea guida per tanti accordi. Accordi aziendali ma anche contratti nazionali, sconfessando chi, sindacati complici, partiti dell’opposizione parlamentare e anche un settore della Cgil, giurava che si trattasse di una eccezione non ripetibile.
La storia la conosciamo tutti bene. A Pomigliano è seguita Mirafiori, il governo ha varato il collegato al lavoro, ha proseguito col federalismo, che porterà altri attacchi allo stato sociale, tra scuola, trasporti e impiego pubblico vengono tagliati centinaia di posti di lavoro, cassa integrazione e licenziamenti segnano nuovi record, piovono nuovi e pesanti accordi separati in categorie importanti come quello del commercio.
Il governo davanti alla nuova emergenza degli sbarchi a Lampedusa non sa fare altro che istituire campi di concentramento mostrando ancora una volta il cinismo di cui è capace. Lascia precipitare la situazione portando all’esasperazione gli abitanti dell’isola, per poi trasformare il problema in una questione di ordine pubblico per specularci sopra: nuovi appalti d’oro gestiti dalla protezione civile e una bella campagna politica sul pericolo dell’invasione degli immigrati. Governo e Confindustria macinano attacchi a ripetizione consapevoli che non c’è nessuno seriamente intenzionato a fermarli. Non certo l’opposizione parlamentare che, se fa cagnara per gli scandali sessuali di Berlusconi o gli attacchi alla magistratura, sull’attacco ai lavoratori è sempre d’accordo con la maggioranza di governo e con Marchionne.
Opposizione che in parlamento ha votato unita e compatta a favore della guerra imperialista in Libia. Tutto il parlamento ha votato a favore della mozione presentata dal Pd, praticamente all’unanimità.
A distanza di un anno lo sciopero del 6 maggio può essere l’occasione di rilanciare l’opposizione nel paese. Una responsabilità di cui tuttavia la Cgil farebbe volentieri a meno. E infatti proprio lo sciopero del 6 maggio, il modo in cui è stato convocato, con ben due mesi di preavviso e di sole 4 ore, dà la misura di quanto la Cgil sia poco determinata e motivata.
Del resto la convocazione di questo sciopero è arrivata quando la situazione è precipitata, dopo due importanti accordi separati, senza la Cgil, nell’impiego pubblico a inizio febbraio e nel commercio a fine febbraio e per l’insistenza di molti lavoratori nelle piazze. Ricordiamoci i fischi alla Camusso al comizio in occasione dello sciopero della Fiom del 27 gennaio a Bologna.
La piattaforma della mobilitazione è così generica che si fa fatica a non condividerla, per il semplice motivo che non entra nello specifico di nulla.
Generiche frasi contro il precariato, per l’estensione degli ammortizzatori sociali, la difesa dei diritti delle donne sul lavoro, la difesa dei posti di lavoro, ma senza entrare nello specifico di come e con quali strumenti portare a casa dei risultati.
Come se non bastasse, la segreteria della Cgil ha recentemente approvato un documento sul modello contrattuale da proporre a Confindustria, Cisl e Uil, che rischia seriamente di diventare smobilitante per quei tanti lavoratori e delegati che le assemblee nelle fabbriche per preparare lo sciopero le stanno facendo seriamente. Sia perché ancora prima di aver fatto lo sciopero si lancia un messaggio di non belligeranza ai nostri avversari, “oggi facciamo lo sciopero ma dopo vogliamo sederci a un tavolo con voi e discutere”, e in secondo luogo perché il documento in questione va nella direzione di nuove concessioni alla controparte. Infatti la Cgil ha detto che è uno sciopero contro il Governo, ma si è guardata bene di dire che è anche contro Confindustria.
Un documento teso a rassicurare i padroni sulla propria affidabilità e disponibilità ricordando che su 89 contratti firmati 83 sono stati unitari. Ma dimenticando di ricordare che quei 6 contratti non firmati riguardano oltre 7 milioni di lavoratori.
Questo documento è stato appoggiato all’unanimità nella segreteria Cgil, anche da quella componente che continua a volersi definire la sinistra sindacale e che fa riferimento alla Federazione della sinistra, Lavoro e società.
Un approccio estremamente inadeguato alle reali necessità. I lavoratori del commercio hanno subito un accordo separato nella grande distribuzione che non ha precedenti per le gravi conseguenze che questo avrà su tutto il settore. Perché è chiaro che se viene messo sotto attacco il settore del commercio sindacalmente più forte, figuriamoci cosa ancora tenteranno di fare contro i settori più deboli e frammentati.
Solo per quest’anno sono previsti aumenti tra il 30 e il 50% sui mercati internazionali dei generi alimentari, dell’energia e di tutte le materie prime, quindi proseguirà in modo sostenuto la perdita del potere d’acquisto dei salari.
I metalmeccanici sono senza contratto, quello dell’impiego pubblico è bloccato da anni. Ai precari non viene di norma rinnovato il contratto, la disoccupazione giovanile sfiora il 30%.
È evidente che lo sciopero così com’è è decisamente inadeguato. Di questo se ne rendono conto anche settori stessi dell’apparato della Cgil, non per nulla diverse categorie, oltre ai metalmeccanici, impiego pubblico, scuola e università e commercio, Camere del lavoro o regioni, come Genova e l’Emilia Romagna dalle 4 ore iniziali proposte dalla segretaria, hanno esteso a 8 ore lo sciopero. Di fatto un’ammissione dell’insufficienza della proposta del vertice.
Se le mobilitazioni dell’ultimo anno ci hanno detto una cosa, questa è che solo la spinta dal basso dei lavoratori ha costretto la Cgil o le sue categorie a mobilitarsi e tentare di rispondere agli attacchi. Ciò vale ad esempio nel commercio dove i delegati, molto arrabbiati e determinati, a marzo hanno chiesto alla Cgil di lottare veramente contro l’accordo separato. Vale anche per la Fiom che, se si è mobilitata ed ha fatto cose importanti in questi anni e soprattutto negli ultimi mesi, questo è solo grazie alla pressione dei lavoratori che l’ha costretta a muoversi. Quando questa pressione viene a mancare vediamo che anche la Fiom firma accordi non accettabili, come quelli sulle ristrutturazioni in Piaggio ed Electrolux, o fa mezzi passi falsi come alla Sata di Melfi sull’Ergo Uas.
Per intraprendere una mobilitazione realmente efficace è indispensabile in primo luogo rilanciare il conflitto azienda per azienda, convocando assemblee dove si spieghi dettagliatamente le ragioni del conflitto e si compatti il numero maggiore di lavoratori. Assemblee che devono discutere di una piattaforma veramente alternativa alla controffensiva padronale sostenuta anche da Cisl e Uil ma anche delle forme di lotta più incisive, la loro articolazione, le casse di resistenza, sapendo che in un momento di crisi lo sciopero può non essere l’unico strumento efficace. Non sfugge a nessuno che convocare uno sciopero con le consuete modalità che non disturbano il manovratore può diventare l’ennesima occasione persa. Bloccare il paese, dimostrare chi ha la forza per governare questa società al posto dei padroni, fare del 6 maggio un punto di partenza per estendere la lotta: sono queste le coordinate su cui ci impegneremo nelle prossime settimane. Invitiamo tutti i giovani e i lavoratori a fare altrettanto assieme a noi.
11 aprile 2011
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