CONTRO LA GUERRA AI FRATELLI MIGRANTI

Dopo la reazione isterica di qualche sindaco, ecco ora il radar a Capo Sperone per respingerli meglio

A pochi giorni dopo la ridicola isteria dei sindaci sardi anti-tunisini, ecco ora una manna dal cielo per tutti coloro che vogliono fare della Sardegna una terra di rifiuto e al tempo stesso di occupazione militare. È praticamente questo il futuro che il governo Berlusconi e la giunta Cappellacci disegna per la nostra isola.

Non bastano le basi aeree di Decimomannu da dove partono gli aerei per la missione Nato contro la Libia, non bastano i poligoni militari di Quirra, Capo San Lorenzo, e Capo Teulada dove gli eserciti di varie nazioni scaricano i loro strumenti di morte contaminando di sostanze tossiche il territorio circostante; con la delibera della Giunta Regionale n° 36/22 del 4 novembre 2010 e stata concessa un’area in comodato per la realizzazione di cinque Radar EL/M-2226 ACSR (Advanced Coastal Surveillance Radar) nella località “Il Semaforo – Capo Sperone” presso il comune di S. Antioco (nella provincia di Carbonia - Iglesias) per conto della Guardia di Finanza.
Per la realizzazione sono coinvolti: il Ministero per i beni e attività culturali, l’Assessorato regionale dell’urbanistica, la Soprintendenza per i beni ambientali di Cagliari, il servizio regionale tutela paesaggi, il Comune di S. Antioco, l’A.R.P.A.S., il corpo forestale e di vigilanza ambientale. I Radar, prodotti dalla Elta Systems, società controllata dalla Israel Aerospace Industries ltd., con fondi comunitari P.O.N. (Programma Operativo Nazionale) asse 1.2 (Fondo europeo per le frontiere esterne, programma quadro flussi migratori 2007 – 2008), verranno utilizzati per controllare in modo capillare la situazione sulle coste africane e nella striscia di mare che da loro ci separa.
In questo modo si vuole blindare la “fortezza Europa” dotandola di veri e propri sistemi di guerra capaci di intercettare già in acque internazionali i barconi della disperazione (pieni di uomini, donne e bambini che fuggono da fame e guerra), per poterli rispedire indietro in qualsiasi modo, senza incorrere in violazioni dei diritti internazionali dell’uomo, condannandoli il più delle volte a naufragi o deportazioni in centri di prigionia dove rischiano ogni tipo di violenza. Inoltre, questa militarizzazione insensata del territorio sardo viene realizzata, come al solito, in un’area, Capo Sperone, tutelata con vincolo paesaggistico (D.lgs. n°42/2004 e s.m.i.) ai sensi del piano paesaggistico regionale (D.P. Re. n°82 del 7 settembre 2006), classificata zona “H-salvaguardia” nel vigente P.U.C. di S. Antioco.
Oltre alla brutalità attuata contro persone inermi, in fuga dalla miseria, stremate da un viaggio in cui rischiano la vita per un futuro migliore in Europa, costato enormi sacrifici, vengono imposte strutture militari che devastano il territorio in cui vengono costruite sia dal punto di vista naturalistico, modificandone l’ecosistema, sia dal punto di vista turistico, e soprattutto mettendo a rischio la vita delle persone che lì vivono e lavorano; questo a causa delle potenti onde emanate da tali radar, che a lungo andare potrebbero essere nocivi per la salute.
Numerose associazioni, comitati e gruppi politici hanno manifestato il loro dissenso attraverso raccolta di firme (nella sola Sant’Antioco ne sono state raccolte più di mille in poche settimane), manifestazioni in piazza e interrogazioni regionali. Sabato 16 aprile una manifestazione a S. Antioco contro la costruzione dei radar ha coinvolto 400 persone che unanimemente hanno detto di no a questo ennesimo atto di militarizzazione del territorio e di respingimento nei confronti dei nostri fratelli del nord Africa.
Sarebbe molto importante vedere a proposito in Sardegna una mobilitazione simile a quella che si è messa in moto contro il nucleare (qui andiamo a referendum anche il 15 e 16 maggio), per evitare che il nostro territorio venga sfruttato per le servitù militari, ma soprattutto, per solidarizzare e dare aiuto ai nostri fratelli tunisini, algerini, marocchini, libici ed egiziani che fuggono dalla miseria cercando una nuova vita nella “civile” Europa. 

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