QUANDO L’ANTIMPERIALISMO NON È DI CLASSE

Il supporto a regimi ostili ai lavoratori, le origini staliniste di questa politica, l’assenza della V internazionale.

Alcuni a sinistra, facilitati anche dalle riflessioni di Fidel Castro che glissano sulle malefatte di Gheddafi e sulla sua apertura alle multinazionali (che ritrovi analizzata nei nostri ultimi due pezzi), vedono nel medio oriente rivoluzioni colorate fomentate e foraggiate dagli Usa. Un ostacolo, in quanto dirette contro regimi,  come quello libico e iraniano, definiti antimperialisti.
Tutto questo dimostra in primo luogo una sfiducia verso i movimenti, in primo luogo quello dei lavoratori (si pensi alla potente classe operaia egiziana che da anni svolge un esemplare lavoro preparatorio, ma anche a quella iraniana, con molti militanti incarcerati), e una riduzione dell’antimperialismo a scontro fra stati, poco importa se questo spinge questi compagni  a parteggiare per altri regimi dalla chiara natura antioperaia.
Sgomberiamo il campo da eventuali equivoci. Un eventuale attacco alla Libia, così come anche all’Iran, deve vedere, a nostro modo di vedere, i giovani e i lavoratori della sinistra mondiale schierati contro l’aggressione imperialista, ma al tempo stesso avendo un profilo indipendente dai diversi Bonaparte come Gheddafi e Ahmadinejad, al fine di rovesciare i loro rispettivi regimi per via rivoluzionaria verso il socialismo.
Condividiamo la posizione di Trotskij, quando nel 1940 sosteneva la difesa incondizionata dell’Urss dall’aggressione nazista: «Non possiamo affidare a Hitler il compito di rovesciare Stalin; questo compito è nostro». Non si vede perciò quindi il motivo per cui si debba assumere una posizione acritica nei confronti di regimi che fanno parte del cosiddetto “campo antimperialista” che reprimono lavoratori e minoranze etniche e che non sono paragonabili all’Urss, neppure a quella di Stalin, che se non altro manteneva (pur con un mostro burocratico che escludeva i lavoratori dalle decisioni) il controllo statale dei mezzi di produzione.
La posizione che all’internazionalismo proletario antepone lo scontro tra stati, seppur ripresa dieci anni dopo il crollo dell’Urss dalle componenti staliniste della sinistra italiana (nel Prc pensiamo all’Ernesto - allora area ben più grande di quella attuale, comprendente anche Claudio Grassi - in polemica con l’altrettanto sbagliata posizione di Bertinotti sulla fine dell’imperialismo), non nasce oggi. La terza internazionale staliniana con tre soli congressi in 18 anni è un chiaro esempio di come il partito mondiale della rivoluzione (ancor prima del suo scioglimento nel 1943) sia stato trasformato in un apparato a mera difesa della burocrazia sovietica intenta a realizzare il socialismo in un paese solo. Rivoluzioni tradite in Cina e Spagna, zig zag nelle alleanze (prima con le borghesie occidentali, poi con la Germania di Hitler per poi tornare da Churchill e compagnia), partiti comunisti dei vari paesi costretti a cambiare posizione in base ai diktat del Cremlino lo dimostrano ampiamente.
Non avendo nessun baffone oggi, alcuni a sinistra guardano a questi regimi. Certo, guardano anche al Venezuela di Chávez (e anche noi guardiamo con interesse alla rivoluzione bolivariana, che però corre seri rischi se non completata), ma qui dobbiamo avviare una seria riflessione poiché lo stesso Chávez pare più interessato dialogare con l’“hermano” (!!!) Mamoudh (Ahmadinejad) o con il “Bolivar (!!!) libico” (Gheddafi) piuttosto che a sviluppare la Quinta Internazionale da lui stesso proposta. Rovesciare quei regimi in crisi rappresenta oggi una tappa fondamentale della più che mai necessaria rivoluzione mondiale.
Non sarà il “realismo” di chi vede la possibilità di accordi regionali e internazionali di cooperazioni tra stati a salvare il mondo dalla rovina decisa da un sistema marcio. L’obiettivo di queste potenze “antimperialiste” non è quello di rompere l’ordine mondiale capitalista, bensì conquistare nuovi spazi per i propri mercati a detrimento di altri, mantenendo in vita il capitalismo e le sue contraddizioni. I giovani e i lavoratori hanno poco da guadagnarci  schierandosi con questo o quel campo. La rivoluzione nel mondo arabo mostra la via sulla quale costruire la nuova internazionale.  

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