Le contraddizioni del comparto agricolo e la monocoltura del pecorino romano conseguenze del capitalismo.
La questione del latte, la sua produzione, la sua trasformazione e la sua commercializzazione, rappresenta un punto centrale per la stesura di una strategia politica dei comunisti e della sinistra in Sardegna. Le recenti lotte dei pastori dell’Mps hanno dimostrato che anche una categoria frantumata come quella dei lavoratori delle campagne, ha saputo incrociare le braccia paralizzando l’isola in diverse occasioni.
Questo è un punto di svolta decisivo il cui riconoscimento non deve però essere la base di un’adesione acritica alle rivendicazioni dell’Mps. Se è comprensibile quel ragionamento secondo il quale «se sono stati dati i soldi alle banche si devono darli anche a noi», la sinistra deve offrire all’intero mondo dell’agricoltura e della pastorizia un programma complessivo che vada al di là degli aiuti economici alle singole aziende. Meccanismo che da una parte porta all’assistenzialismo, e che dall’altra non intacca lo strapotere dei padroni dei caseifici sardi nel dettare le regole, basti pensare che il prezzo medio per litro di latte (60 centesimi) è vergognosamente al di sotto del costo effettivo (97 centesimi) sostenuto dal pastore per la sua produzione.
Prendendo spunto dal documento “Terra e soberania: progetto terra sarda”, scritto da alcuni compagni di diversi circoli del Prc (tra i quali Filippo Simula del circolo Hutalabì di Sassari) e non solo, vogliamo dare il nostro contributo agli interessanti spunti lì trovati.
Per quanto riguarda le banche pensiamo che lo stato debba intervenire, ma non certamente attraverso il meccanismo della “nazionalizzazione dei debiti e della privatizzazione dei profitti”, una sorta di socialismo per i ricchi e di capitalismo per i poveri. Occorre intervenire ma per prenderne la proprietà in modo da erogare il credito per scopi sociali: dalla riconversione dell’industria in favore dell’agricoltura (si leggano le parole di Gramsci su come il controllo operaio dell’industria avrebbe dato manforte all’agricoltura) e dell’ambiente all’edilizia per ammodernare le infrastrutture e le vie di comunicazione passando per maggiori investimenti nella ricerca e per la cancellazione dei debiti accumulati dalle piccole aziende come è il caso dei pastori. La nazionalizzazione, o nel nostro caso, la regionalizzazione del credito sarebbe un primo passo di sovranità che rompe con lo stato capitalista italiano e con l’unione europea in uno degli anelli più deboli della catena.
Per ciò che riguarda invece il latte, di pari passo la sinistra deve rivendicare la nazionalizzazione di quelle 5-6 grandi imprese di trasformazione e non per il semplice gusto di espropriare, ma per porre sotto il controllo dei lavoratori e delle comunità l’intero ciclo produzione, distribuzione e consumo per uscire dall’imposizione monocolturale del formaggio “pecorino romano” (e dell’allevamento della pecora) quasi interamente orientato al mercato nord americano e per fare del comparto un sistema moderno con i suoi prodotti finalizzati a un consumo più sostenibile nell’ottica della biodiversità e del Km 0.
Pensiamo che la questione della proprietà e del controllo sociale del credito e dell’industria sia un elemento imprescindibile da mettere su un programma di una sinistra di classe che agisca nel territorio con l’obiettivo di unificare le vertenze (lavoratori dell’industria, delle campagne e dell’università, lavoratori salariati e piccoli imprenditori), le esigenze primarie (del lavoro e dell’ambiente), le migliori intelligenze del socialismo, dell’ambientalismo e del sardismo e per costruire attorno a sé quel consenso necessario per la trasformazione della società sarda e non solo. Un programma di rivendicazioni operaie quindi, ma che se fatto proprio sarà automaticamente indirizzato a tutti i settori oppressi della società ponendosi l’obiettivo di uscire dalle compatibilità del sistema capitalista che non garantisce occupazione, ma neanche la tutela dell’ambiente e delle diversità culturali rendendo la Sardegna (e in particolare la provincia di Sassari) terra dei record negativi.
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