LA NASCITA DEL PCD’I, OLTRE LA RICORRENZA

La scissione necessaria, le grandi masse impreparate, le gravi conseguenze di una politica estremista.

Il 21 gennaio del 1921 nasceva a Livorno il Partito comunista d’Italia, sezione della III Internazionale comunista. E questo tutti li sappiamo. Quel che spesso i dirigenti dell’odierna sinistra radicale (e riformista) non dicono, coprendone di fatto l’operato, è quanto l’estremismo e il settarismo nei confronti del Partito socialista (ma anche degli Arditi del popolo) abbia generato più danni che conquiste.

Al congresso di Livorno, vinto dai massimalisti di Serrati, l’intera Fgsi (i giovani socialisti) e altri 58.870 militanti socialisti escono dal Psi per fondare il nuovo partito, unica sezione riconosciuta dall’Internazionale in seguito al rifiuto di Serrati di espellere, come richiesto, i riformisti di Turati. Tuttavia i socialisti chiedevano di essere riammessi nell’Internazionale, ma questa richiesta venne rifiutata nel terzo congresso tenutosi a Mosca nel giugno dello stesso anno. Ma con una particolarità: l’ascesa del fascismo, non un generico movimento reazionario, ma una mobilitazione di massa controrivoluzionaria della piccola borghesia diretta dal grande capitale contro l’esistenza stessa delle organizzazioni del movimento operaio, imponeva al giovane partito comunista la tattica del fronte unico verso il Psi allo scopo di attrarre quei militanti socialisti, entusiasti della Russia sovietica e onestamente rivoluzionari che però non avevano ancora tratto la conclusione di rompere con il partito di Serrati.
Questa tattica fu respinta da Bordiga, anticipando per certi versi la politica stalinista del “social-fascismo”. Se quest’ultima, applicata nel periodo 1928-1933 ha contribuito all’avanzata dei nazisti in Germania, secondo l’errata concezione che la crisi avrebbe portato al collasso finale del capitalismo mondiale e che la socialdemocrazia era la stessa cosa del fascismo, Bordiga affermava che i padroni italiani avrebbero presto optato per un governo socialista come strumento di moderazione delle lotte operaie. Secondo questa previsione, il fascismo rappresentava un pericolo reale. La conclusione di Bordiga conduceva nella pratica a non accettare alcun fronte coi socialisti.
Questo settarismo nei confronti dei socialisti, pur avendo a che fare con un fascismo agli albori (ben più grave infatti fu l’errore di Stalin che avrebbe dovuto trarne altre conclusioni anni dopo), era purtroppo condiviso anche da Gramsci e dall’intero gruppo del Pcd’I.
In seguito Gramsci riconobbe gli errori, e ancor prima le condizioni oggettive non certo favorevoli alla scissione. Definirà infatti il gennaio del 1921, data della nascita del partito, come il «momento più critico sia della crisi generale della borghesia italiana, sia della crisi del movimento operaio. La scissione, se era storicamente necessaria ed inevitabile, trovava però le grandi masse impreparate e riluttanti».
Inoltre, già durante l’esperienza degli Arditi del popolo, vere e proprie milizie proletarie che ne diedero di santa ragione ai neri (come durante la battaglia di Parma) e che coordinate a livello nazionale avrebbero potuto dare un colpo definitivo al movimento fascista, Gramsci avrà modo di polemizzare con i settari: «Sono i comunisti contrari al movimento degli Arditi del Popolo? Tutt’altro: essi aspirano all’armamento del proletariato, alla creazione di una forza armata proletaria che sia in grado di sconfiggere la borghesia e di presidiare l’organizzazione e lo sviluppo delle nuove forze produttive generate dal capitalismo».
Ma la battaglia contro il settarismo di Bordiga si sistematizzerà con il congresso di Lione del 1926, col fascismo al potere già da qualche anno. Secondo le tesi il partito comunista deve conquistare la maggioranza della classe operaia con una battaglia tenace nelle organizzazioni di massa per rivendicazioni immediate e obiettivi comprensibili alle larghe masse. È questo l’unico modo per far maturare la loro coscienza e provocare il loro distacco dalle organizzazioni riformiste. Oltre la ricorrenza quindi, contro l’estremismo, ma per la rivoluzione.

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