150 anni di capitalismo italiano, l’autodecisione della Sardegna, l’unità di classe con i lavoratori italiani.
Può un lavoratore o un giovane sardo di sinistra provare repulsione alla retorica nazionalista sulle “conquiste” dell’unità d’Italia e al tempo stesso gioire per il coraggio di lavoratori non sardi nel respingere le arroganze padronali? Certo che si!
Perché partendo dall’analisi gramsciana sul Risorgimento e sullo sfruttamento coloniale del meridione e delle isole, passando per veri e propri crimini commessi nell’interesse nazionale che è sempre coinciso, da che mondo è mondo, con quello della classe dominante, i militanti della sinistra sarda non dovrebbero assumere come valore lo stato unitario, bensì come dato di fatto sul quale basare la loro azione politica.
Riconoscere in termini marxisti la Sardegna come un’entità stabile di linguaggio, territorio, vita economica e formazione psicologica, che si è storicamente evoluta e si manifesta in una cultura comune, e in prospettiva (e nell’ambito della trasformazione socialista della società) anche il suo diritto ad organizzare la propria vita su linee autonome, compreso il diritto alla separazione, non presuppone per noi la divisione su basi nazionali del movimento operaio.
Ma il discorso non è nuovo. Tra le polemiche che a tal proposito hanno animato la questione nella socialdemocrazia europea a cavallo tra il XIX e il XX secolo (Rosa Luxemburg, Otto Bauer…) è utile per noi riproporre quella intrapresa da Lenin contro i “separatisti” del Bund, tesi a separare l’organizzazione dei lavoratori ebrei dal Partito operaio socialdemocratico russo.
Fatte le dovute differenze tra impero russo e stato italiano, tra socialdemocrazia russa e sinistra italiana, tra questione ebraica e questione sarda, ci pare tuttavia utile, per i destini della classe operaia e della stessa nazione sarda, continuare a rifiutare la separazione dei lavoratori sardi da quelli italiani, sia a riguardo dello strumento politico, che di quello sindacale.
Il nostro obiettivo (peraltro parziale poiché siamo internazionalisti) è quello di porre fine al capitalismo italiano e non la creazione di uno stato sardo dipendente dalle logiche della Bce o dell’Fmi. Per questo abbiamo bisogno di un’organizzazione che, pur riconoscendo il diritto all’autodecisione della nazione sarda, sia unita e compatta all’interno dell’organizzazione statale in cui, e contro cui, essa opera. Lo “stato di cose presente”, come diceva Marx, è da “abbattere”, con i metodi democratici della lotta di classe ovviamente, e non da accantonare. Che poi al giorno d’oggi abbiamo nel panorama della sinistra organizzazioni unitarie (centraliste) ma che non combattono il capitalismo, è un altro paio di maniche e tuttavia non è un discorso che può essere usato come cavillo da chi, da sinistra, rifiuta un’organizzazione “italianista” anche se di carattere rivoluzionario.
Questo non significa negare ai lavoratori sardi un protagonismo che, ben prima che da noi, gli è riconosciuto dalla storia. Anzi, proprio perché pensiamo che le classi dominanti siano incapaci di portare avanti politiche progressiste dovunque si trovino, vediamo nei lavoratori, e in questo caso nei lavoratori sardi, il motore dello sviluppo dell’isola, ma non possiamo separare la classe operaia dello stato italiano come se questa fosse una pratica di anticolonialismo.
Le manovre per distruggere i diritti di sciopero, le rappresentanze sindacali, i contratti collettivi nazionali e quanto vediamo sotto i nostri occhi, sono tali proprio perché colpiscono tutti i lavoratori dello stato italiano e per questo risultano settarie e pericolose tutte quelle posizioni che in nome di una non meglio precisata questione sarda si estraniano da una lotta erroneamente definita “italianista”.
Solo rovesciando il capitalismo e le sue istituzioni sulla base di un programma operaio che espropri i centri della produzione, della distribuzione e il credito, i lavoratori dell’industria in alleanza con i pastori, i contadini e gli artigiani, possono dare vita a quella vera indipendenza della Sardegna all’interno di una federazione socialista europea e mondiale.
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